Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII - 2024
di NANDO CIANCI
L’immagine positiva – rispetto a quella attuale – che si ha della politica italiana dalla Liberazione alla fine della cosiddetta Prima Repubblica risente certamente della retorica che sempre gli uomini costruiscono quando si aggregano intorno ad idee che, per essere unificanti, devono necessariamente essere alte. Sì che, quando la realtà non si rivela, per così dire, all’altezza di quelle idee (come è avvenuto con il socialismo, il liberalismo e altre correnti politico-culturali) la distanza fra i due livelli viene colmata con la retorica. Quella che riveste di broccato la cruda nudezza dei fatti per conferire loro nobiltà. O di stracci per farla sembrare peggiore.
La retorica, non solo in politica, spesso annebbia la visione del passato, rendendolo più bello del presente, perpetuando quel mito di una passata età dell’oro, da rimpiangere e a cui tornare, che accompagna l’umanità sin da quando la civiltà ha mosso i primi passi.
Tuttavia, alcune delle caratteristiche dell’età politica nata dalla fine della seconda guerra mondiale, che svolgevano una funzione positiva, sono effettivamente scomparse.
Pur armandosi di una forte dose di buon senso, riesce alquanto difficoltoso spiegarsi per quale ragione una parte consistente dei frequentatori di social si ostina a disputare puntigliosamente su argomenti di cui non sa assolutamente nulla.
Una prima riposta può forse individuarsi nel fatto che, affermando con vigore, e a volte con ferocia, la propria opinione ci si vuol sentire forti e sulla cresta dell’onda. In un mondo mediatico che – proponendo modelli di ricchezza, bellezza e fama irraggiungibili – produce continue frustrazioni[1], da qualche parte bisogna pur cominciare per costruire la propria autostima. Quando non si ha di meglio, lo si fa ora identificandosi con le gioie, i dolori e le angosce di una testa coronata, ora immaginandosi di essere l’eroe di una qualche Resistenza in corso nel mondo, ora pugnando con intrepido coraggio per affermare che le cose stanno come il proprio inarrivabile io scrive sui social, con il necessario corollario che chi si oppone ad una tal verità non può che essere annoverato tra i portatori di pesante deficit cognitivo.
Nell'epoca del grande sviluppo della tecnologia e della potenza che tramite essa acquisiamo, per paradosso sentiamo più acuta la fragilità della specie umana. E della necessità di nuove e più profonde forme di democrazia.
di NANDO CIANCI
Dire che mai come oggi la fragilità della condizione umana si manifesta in tutta la sua nudezza ci fa, al contempo, sfiorare la trappola del luogo comune e toccare da vicino una macroscopica contraddizione.
Luogo comune, perché sappiamo da sempre che la fragilità ci accompagna inevitabilmente (e su di essa hanno scritto pagine alte di poesia e di prosa i grandi della letteratura, della filosofia e delle arti).
Ma anche paradosso, perché nell’epoca in cui ci siamo dotati di supporti tecnologici portentosi che ci aiutano ad affrontare ogni sorta di avversità, in cui la medicina e gli stili di vita ci hanno consentito – almeno in certe parti del mondo – di allungare la durata media della vita, in cui abbiamo costruito ogni sorta di difesa da attacchi di varia natura, ci sentiamo stranamente piccoli e fragili.
In un libro di alcuni anni fa[1], Paolo Gallina ricorre alla metafora della zattera per spiegare come il nostro coinvolgimento emotivo riguardo ai fatti che accadono nel mondo e a quel che succede agli uomini decresca man mano che ci allontaniamo dalla immediatezza del nostro vissuto.
Ognuno di noi, dice, naviga con una sua zattera nell’oceano della vita, e perciò in balia delle correnti. Al centro di essa, vicino a noi e ben assicurati, viaggiano i familiari più stretti e quelli con cui pratichiamo affetti quotidiani. Poi, man mano che procediamo verso i margini esterni si collocano, in posizione di minor sicurezza, esseri, animati o anche non, a seconda del posto che hanno nella nostra vita. In definitiva: «L’empatia che siamo in grado di secernere nella nostra mente è inversamente proporzionale alla distanza della persona (oggetto o concetto) dal baricentro»[2].
Accade, inoltre che, non essendo infinite le dimensioni della zattera, tutti quelli che non sono riusciti a trovarvi posto ne rimangano fuori. La scelta di chi far salire, infine, è fatta da ognuno di noi riguardo alla sua personale zattera, ma tale scelta non si effettua solo (e forse neanche nella parte maggiore) a livello conscio.
Questo modo di funzionare della nostra psiche non è granché utile a spiegare l’origine della guerra scatenata in questa settimana dalla Russia. Per far ciò occorrerebbe inoltrarsi nella geopolitica, nell’economia, nei sistemi politici e nei meccanismi con i quali, al loro interno, vengono prese le decisioni, nella storia delle relazioni tra i popoli, nella dinamica dello scacchiere internazionale e in altro ancora. Ma quel funzionamento è perfettamente noto agli strateghi dell’informazione che, anche qui in Occidente, concentrano i riflettori in modo monotematico e quasi ossessivo sugli effetti disumani di un conflitto che, pur non essendo l’unico al mondo, si svolge praticamente alle nostre porte.
Quando si compiono azioni violente ed ingiuste, vengono evocate le necessità oggettive della storia e l’indipendenza della politica dall’etica. Quando si scopre l’efferatezza di quei comportamenti, torna in scena l’etica e vengono formulate – o inscenate – le scuse. Che, però, sono soltanto formali se non seguite da comportamenti coerenti.
La secolare battaglia contro una tradizione rigida e imbalsamata che ostacola la ricerca e il libero pensiero si va trasformando nel suo opposto: la dittatura di un presente che vuole cancellare il passato, la storia e la memoria. Ma i classici ci mantengono in vita.
di NANDO CIANCI
Nel marzo del 1992, i genitori di una scuola elementare nella contea di Duval, in Florida, stabilirono che la lettura della favola di Biancaneve era pericolosa per i loro bambini, perché incuteva terrore. Dimenticavano, quei preoccupati genitori, che la crescita porta di per se stessa l’attraversamento di conflitti, problemi, ansie, paure.