«La storia è l’uomo» amava dire Mario Setta citando storici che aveva letto e approfondito da Bloch a Febvre, da Braudel a Le Goff che, nella prefazione al libro di Marc Bloch Apologia della storia, sottolinea che la storia è «una scienza in marcia». Alla ricerca storica Mario ha dedicato una parte importante della sua vita, movimentata e complessa. C’è una data spartiacque a segnarla: il 7 aprile 1979: «Era il sabato precedente la Domenica delle Palme. Avevo quarantatré anni. Quella domenica non ci furono i bambini a gridare “Osanna” con le palme d’ulivo tra le mani. Arrivarono i carabinieri, sul sagrato della chiesa, perché il nuovo prete potesse celebrare la Messa, in pace. Si temeva qualche sommossa dei parrocchiani. Non ero presente. La sera del sabato ero tornato dai miei genitori, perché avevo trovato la porta della casa parrocchiale sprangata. Si chiudeva così un periodo di nove anni, vissuto in una parrocchia nei dintorni di Sulmona. Piccole frazioni sotto il Morrone: Badia, Fonte d’Amore, Case Lupi, San Pietro, Bagnaturo. Non si chiudeva solo la mia esperienza di parroco.
Si chiudeva definitivamente la mia vita di prete». Di questa vita e di quello che accadde dopo Mario Setta ha scritto nel libro Il volto scoperto pubblicato nel 2011, alla vigilia dei suoi 75 anni, e in quell’occasione volle che fossi tra i relatori che a Sulmona ne discussero. Non si tratta di una semplice biografia ma di un testo ricco di riflessioni, profondo come tutti i suoi scritti. Nato a Bussi sul Tirino in una famiglia operaia Mario Setta decise di entrare in seminario nel 1951, a quindici anni. La sua formazione avvenne a Bologna e una volta ordinato sacerdote andò a Roma come “cappellano degli edili”. Un prete operaio che condivideva i problemi, i sacrifici, le speranze dei lavoratori. Anni quelli romani, dal 1962 al 1970, fondamentali per la maturazione di quei valori che portava dentro fin da adolescente. Valori vissuti sul campo, scegliendo di schierarsi dalla parte degli umili. Sono quelli gli anni del Concilio Vaticano II, di Papa Giovanni XXIII e di Paolo VI che dopo aver ricevuto in udienza una rappresentanza chiese di incontrare gli operai di Roma impegnati nel cantiere per la ristrutturazione del palazzo Lateranense. L’organizzazione fu affidata a Mario Setta che li aveva accompagnati in Vaticano. È ancora una volta Il volto scoperto a custodire la testimonianza di quell’episodio: «Accompagnavo un gruppo di edili, muratori e manovali. Il papa si sentiva vicino ai loro problemi. Lo si capiva. Mi strinse fortemente le mani, mentre ero inginocchiato ai suoi piedi, accanto ad un muratore che gli offriva un quadro che lo ritraeva tra i lavoratori. Il papa era rimasto colpito da quel dipinto e mi chiese di organizzare un suo incontro con gli operai del cantiere per la ristrutturazione del palazzo Lateranense. Un cantiere con qualche migliaio di operai, gestito dal Governatorato del Vaticano. Raccogliemmo tutte le firme di operai e impiegati. Mi recai in Governatorato, dal conte Galeazzi. Mi ricevette e gli consegnai la lettera con le firme. Disse che avrebbe trasmesso tutto alla Segreteria di Stato. Ma non ci fu risposta. Fui invece chiamato da un dirigente del Vaticano che espresse riserve e contestazioni sul fatto che in una predica agli operai avessi sottolineato come tra capitale e lavoro, tra proprietari e lavoratori, non ci dovessero essere differenze di classe, come si affermava nell’enciclica di Giovanni XXIII Mater et Magistra. Che, anzi, il lavoro era più dignitoso e più rispettabile del capitale». Nel 1970 accettò di tornare in Abruzzo. Per lui non fu una decisione facile abbandonare Roma e una missione nella quale poteva mettere in pratica la lezione evangelica. Fu nominato parroco a Badia, la frazione di Sulmona dove si trova l’Abbazia celestiniana. Era consapevole delle difficoltà che il suo lavoro di prete “rinnovatore” avrebbe incontrato, ma accettò il rischio. Sono anni di grandi inquietudini e di profondi cambiamenti sociali. E Mario ancora una volta si mise in gioco, senza paura e senza cedere a compromessi. Si cementa in quegli anni l’amicizia con Raffaele Garofalo, parroco di due frazioni nelle vicinanze di Sulmona, Campo di Fano del comune di Prezza e Torre dei Nolfi del comune di Bugnara e con il giovane don Pasqualino Iannamorelli. Il 9 maggio 1974 fu coinvolto nell' evasione di Horst Fantazzini che, fuggito dal carcere, cercò rifugio nella vicina casa parrocchiale. Tra il "rapinatore gentile”, come lo definivano i giornali, e il prete iniziò un dialogo pacato, fraterno. L’umanità di Mario riuscì a evitare atti violenti. Una volta tornato in carcere Fantazzini gli scrisse una lettera confessandogli di conservare di lui: «un ricordo bellissimo e io, che non sono credente, vorrei che ce ne fossero tanti di preti come te, sacerdoti che, più che per la bellezza dell’aldilà, sono disposti a battersi affinché il contenuto sociale presente nell’insegnamento del Cristo possa realizzarsi nell’esistenza terrena d’ogni creatura umana. Ciao, Mario. Non volermene troppo per le seccature che ti ho causate. T’abbraccio fraternamente, Horst». Mario continuerà a camminare sulla sua strada, impegnato a far vivere nella quotidianità il cristianesimo sociale, solidale, non istituzionale. A scatenare la lotta aperta con la curia furono le sue posizioni rispetto ai referendum sul divorzio e sull'aborto fino alla rottura che si consumò il 7 aprile 1979 con la celebrazione dell'ultima Messa. La sospensione a divinis arrivò tre anni dopo quando accettò la candidatura come indipendente nelle liste del PCI. Da quel momento inizia una nuova vita piena di difficoltà, anche economiche. Sarà anche costretto a emigrare in Germania. Al suo fianco una donna combattiva e coraggiosa come lui, Franca Del Monaco, docente di lettere e sorella di un artista famoso nell’Italia degli anni ’60: Tony del Monaco, cantante e autore. Mario ha una laurea e potrebbe insegnare, partecipa a un concorso nazionale e lo vince classificandosi tra i primi cinque ma la cattedra gli viene rifiutata a causa di una norma del Concordato che vietava l'assunzione negli uffici pubblici di “sacerdoti apostati o irretiti da censura”, entrerà a pieno titolo nel mondo della scuola solo dopo la riforma del Concordato firmata dal Governo Craxi nel 1984 che abrogava quel famigerato articolo 5. Docente di storia e filosofia prima in Sardegna, poi a Sulmona nel Liceo Fermi dove divenne un punto di riferimento per studenti e docenti. Ed è nella scuola che la sua passione per la ricerca storica cresce e si rafforza. Determinante fu l’incontro con J. Keith Killby, fondatore di un’associazione di ex prigionieri, il Monte S. Martino Trust, arrivato a Sulmona con la missione di ritrovare quelli che li avevano aiutati. Con sé portava dei libri di memorie in inglese e ne propose la traduzione al preside del Liceo Fermi, Ezio Pelino, che affidò a Mario il compito di coordinare un laboratorio interdisciplinare che si occupò delle traduzioni e di fare ricerca storica per i protagonisti di quanto era raccontato nei libri. È del 1995 la prima edizione del libro E si divisero il pane che non c’era, una raccolta di testimonianze sull’aiuto dato dalla popolazione locale ai prigionieri alleati fuggiti dal campo di concentramento di Fonte d’Amore, Campo 78. Un’opera collettiva di studenti e di docenti. Ricordo ancora l’incontro a scuola, nelle aule del Fermi, dove andai per realizzare un servizio per la Rai. Conoscevo già Mario Setta per i suoi scritti su Il Dibattito, il periodico diretto da Enzo Ciammaglichella, intellettuale cattolico tra i fondatori del gruppo Esprit. Un giornale che raccontava cultura e politica con uno sguardo rinnovatore e senza riverenze per il potere. Mario non si è mai sottratto al dibattito pubblico, nella vita da prete e in quella da insegnante e di storico. Aveva scelto di stare dalla parte degli umili e di impegnarsi per difendere quei valori nei quali credeva: libertà, giustizia, solidarietà. Valori che ritrovava nelle storie di Resistenza Umanitaria che andava scoprendo e raccontando dopo quel primo libro nato nelle aule scolastiche. Nacque allora un legame stretto con il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che non aveva mai dimenticato l’aiuto ricevuto in Abruzzo, quando giovane sottotenente, dopo aver rifiutato di arruolarsi nell’esercito di Salò, aveva trovato rifugio a Scanno e a Sulmona per poi percorrere il sentiero della libertà attraverso la Maiella. Una marcia faticosa che gli permise di raggiungere i territori liberati dagli angloamericani e di arruolarsi nell’esercito impegnato nella guerra di liberazione. E Ciampi, che definì quella prima opera un “bellissimo libro, che io conservo gelosamente”, volle essere presente a Sulmona il 17 maggio 2001 per la partenza della prima edizione del Freedom Trail - Il Sentiero della Libertà. Mario Setta divenne il motore di ulteriori ricerche che confluirono in un’altra pubblicazione: Il sentiero della Libertà- un tratto di strada con Carlo Azeglio Ciampi, pubblicato prima da Qualevita e poi da Laterza con il titolo Il sentiero della Libertà - un libro della memoria con Carlo Azeglio Ciampi. Più volte, negli anni seguenti, il Presidente della Repubblica tornò a parlare della sua esperienza, della Resistenza Umanitaria e dell’importanza di trasmettere la memoria come stava facendo l’Associazione Il Sentiero della Libertà nata per iniziativa di quegli stessi docenti che avevano partecipato alla ricerca. Mario, che fu il primo presidente, ne è stato un instancabile animatore continuando nel lavoro di ricerca e di divulgazione. Numerosi i libri tradotti e pubblicati da Spaghetti e filo spinato a Fuga da Sulmona, La guerra in casa, Un pranzo di erbe, Sempre domani, testimonianze che in parte si ritrovano in Terra di Libertà - storie di uomini e donne nella seconda guerra mondiale. Un intellettuale che in tutta la sua vita ha avuto a cuore e si è battuto per la libertà, per i diritti umani, per la conoscenza e per la pace. Tra le tante pubblicazioni quella che forse gli era più cara è Homo - Elogio di Eva. Come scrisse al momento della pubblicazione «prendo tra le mani il coraggio e rendo pubblico questo libro, piccolo e terribile, umano e solo umano, convinto come sono che debba essere auspicabile la continua e tormentata ricerca della verità». E, nella prefazione, chiarisce il sottotitolo Elogio di Eva. «Questo libro è dedicato ad una donna. Alla prima donna della storia occidentale: Eva. La progenitrice, condannata da secoli e millenni al ruolo di grande peccatrice e madre di generazioni perdute. Vuole quindi tesserne il panegirico, ridarle la stima e l’onore che merita per aver dato all’umanità il piacere e l’incitamento alla conoscenza. Eva, simbolo di ogni donna, ha amato e ama l’umanità così com’è: santa e peccatrice, perduta e redenta, colpevole e innocente. Un’umanità, spesso sprofondata nella bestialità più riprovevole, ma altrettanto spesso elevatasi al più alto grado di umanizzazione».