Quando si compiono azioni violente ed ingiuste, vengono evocate le necessità oggettive della storia e l’indipendenza della politica dall’etica. Quando si scopre l’efferatezza di quei comportamenti, torna in scena l’etica e vengono formulate – o inscenate – le scuse. Che, però, sono soltanto formali se non seguite da comportamenti coerenti.
di NANDO CIANCI
Il Canada chiede scusa perché, nei due secoli scorsi, aveva allestito scuole per educare alla cultura dei bianchi i bambini indiani strappati alle loro madri. Con il divieto di praticare la lingua originaria e qualunque altro aspetto della cultura di provenienza. Un genocidio culturale ribattezzato “integrazione”. Ma anche un genocidio etnico, poiché in una di quelle scuole è stata scoperta una fossa comune con i resti di 215 bambini (si sta indagando su cause e date dei decessi).
La Francia chiede scusa al Ruanda per aver sostenuto un regime che si macchiò, fra l’altro, dello sterminio di 800 persone nel 1994. Gli Stati Uniti, anni fa – a seguito di una battaglia condotta dall'attore Kirk Douglas – si scusarono con gli afroamericani per la schiavitù cui li sottoposero a lungo. Ancora il Canada si scusa per aver internato, durante la seconda guerra mondiale, 600 italo-canadesi per il timore di un qualche loro legame con il fascismo. L’Italia si scusa con la Grecia per le stragi fasciste. E così via, in ogni angolo del mondo.
In ogni ambito, da quello dei rapporti tra gli stati, a quello dei personaggi pubblici a quello delle relazioni private è in uso, da qualche tempo, l’esternazione delle scuse per un qualche comportamento di cui ci si voglia pentire (o che, non essendo più in linea con i tempi potrebbe causare un qualche danno di “immagine” o, più concretamente, negli scambi commerciali e nello scacchiere del potere). Scuse usate come se rappresentassero la soluzione definitiva del problema di cui trattano. O azzerassero gli avvenimenti, come se non si fossero mai verificati.
Tralasciamo la sfera privata, dove in generale lo scusarsi per un comportamento aggressivo, offensivo o comunque non rispettoso dell’altro esprime spesso la saggezza necessaria per ricucire un rapporto, eliminare un equivoco, stemperare tensioni, rialzare il livello umano della relazione.
Qualche interrogativo si pone, invece, nello spazio pubblico. In tale ambito, è lecito chiedersi se questa nuova prassi delle scuse basti a rimediare il malfatto. Certo, gli atti simbolici sono importanti. Segnano cambi di mentalità, di orientamento, di visioni della storia, di rapporti geopolitici. A volte riabilitano persone ingiustamente condannate, o messe alla gogna o linciate mediaticamente. Ma bastano? Risarciscono? Valgono di per sé? O invece necessitano di essere accompagnate da azioni concrete che risarciscano davvero e che portino alla rinuncia di ciò che ingiustamente si è lucrato da quegli atti? Ad esempio, la politica coloniale può essere “emendata” con scuse formali se si continua a permettere che una certa economia continui a depredare i territori ex coloniali? Nella politica, altro esempio, se si costruisce la carriera politica sull’aggressione, l’insulto, il linciaggio, per essere credibili nello scusarsi di tali modi incivili praticati, si è poi autorizzati, dopo rapide scuse a presentarsi come i paladini della tolleranza e della moderazione? Continuando a mantenere posizioni di potere costruite su comportamenti e su politiche che ora si riconosce disdicevoli?
Ma, oltre, gli aspetti della cronaca contemporanea, il problema è antico e riguarda la possibilità di contatto tra la politica e l’etica. Almeno da Platone in poi se ne sono occupati pensatori di grande statura e non si può certo qui riassumere un pensiero articolatosi nei millenni. E, tuttavia, una contraddizione può essere rilevata nel senso comune. Da un lato, quando si compiono politiche di violenza, razzismo, sopruso, sfruttamento coloniale, ci si appella solitamente alla necessità dei fatti: poiché la politica regola i rapporti umani – interni alle comunità e fra i diversi stati – ed essendo la violenza insita nei rapporti umani, la politica non può che essere intrisa di violenze e ingiustizie. Al massimo ci si spinge a giustificare il male che si opera con la necessità di evitarne uno più grande. Si sancisce, comunque, di fatto, un insanabile divorzio fra la politica e l’etica. Anzi della impossibilità stessa di un loro matrimonio. Qualche volta si ricorre, per nobilitare il concetto, alla parola di un qualche pensatore opportunamente saccheggiato e citato a mozziconi che non ne rendono l'insieme del pensiero. Niccolò Machiavelli è la vittima più illustre di questi saccheggi che trasformano pensieri complessi in frasi fatte.
Quando poi il progredire della coscienza e della cultura pubbliche fanno apparire spregevole e disonorevole il comportamento che precedentemente si è giustificato come necessario, ci si affida alle scuse, cioè al riconoscimento della reale natura di quel comportamento. Ma, così facendo, si adotta un criterio che in precedenza si era rifiutato: si giudica l’azione politica in virtù non più di necessità oggettive, ma di principi morali e di valori condivisi. Cioè secondo criteri etici. Verrebbe, così, da dire che, quando si agisce, si intende che la politica debba essere autonoma dall’etica. E quando si vede il risultato sconfortante di quell’azione la si condanna in nome dell’etica. Un comportamento, in un certo senso, schizofrenico. Qualche volta opportunistico. Sul quale i dubbi possono essere diradati solo se al riconoscimento della violenza e dell’ingiustizia perpetrate – e alle conseguenti scuse formali – si accompagnino azioni concrete che segnino un modo nuovo di agire e criteri diversi per operare le scelte che incidono sulla vita degli uomini e del pianeta. Altrimenti si continua nella recita del gioco delle parti. In attesa delle prossime scuse.
La foto della caricatura della conferenza di Berlino del 1885 è di Draner Zz1y, Draner (https://commons.wikimedia.org/wiki/Commons:GNU_Free_Documentation_License,_version_1.2)
La foto del disegno di Platone è di Gordon Johnson da Pixabay.
La foto del dipinto di Machiavelli è di Nickniko (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Portrait_of_Niccol%C3%B2_Machiavelli.jpg; CC BY-SA 4.0)