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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

INTORNO ALLA SCAMPAGNATA

PALLADINIDa un film di Jean Renoir e dal celebre dipinto di Gustave Courbet parte una ragnatela di rimandi e di connessioni che attraversa la cultura otto/novecentesca nelle arti figurative, nella letteratura e nella riflessione critica.

Lungo le rive del Loing, a pochi chilometri da Marlotte sul bordo della foresta di Fontainebleau, fu girato La scampagnata o Una gita in campagna (Partie de campagne): un film del 1936 diretto da Jean Renoir, figlio di Pierre Auguste[1].
Il luogo è ai margini di una formazione boschiva estesa per 25.000 ettari, legata all’immaginario artistico europeo sin dal FIRMA PALLADINIRinascimento, con la prima e la seconda “scuola di Fontainbleau” sviluppate per impulso della corona coinvolgendo anche artisti italiani e poi fiamminghi; ma soprattutto durante l’Ottocento, quando numerosi artisti, attratti dalle tonalità della luce e dalla varietà del paesaggio, hanno sperimentato in quell’ambiente una pittura precorritrice dell’impressionismo. Tanto fu rilevante il fenomeno che già nel 1848 la foresta fu dichiarata ufficialmente "Riserva artistica", per sottrarla al disboscamento che era programmato. Chailly-en-Bière, Bourron-Marlotte, ma soprattutto Barbizon furono i principali centri in cui gli artisti si attestarono e da quest’ultimo villaggio prende nome la scuola che li designa, ricomprendendo le varie personalità e stili: la “scuola di Barbizon “. Il movimento ebbe un’importante risonanza internazionale, tanto che ad esso si integrò, con ripetuti soggiorni, anche un tratto dell’esperienza di importanti pittori italiani tra cui i maggiori abruzzesi come i Palizzi e Patini. Con essi entrò in rapporto e li influenzò Camille Corot, sviluppando uno studio realistico della luce ed una solida costruzione plastica nei soggetti naturalistici; gli stessi motivi che Courbet svilupperà sulla figura umana ed animale e sulle tematiche sociali caratterizzando, entrambi, la pittura francese di metà dell’Ottocento.

RENOIR “La scampagnata” è tratto dall’omonimo racconto di Guy De Maupassant. Il contratto per i diritti, firmato col figlio Simone, prevedeva anche la durata: 32 minuti, perché avesse il ritmo di un racconto.
Difficoltà produttive e contrarietà ne consentirono l’uscita solo nel 1946.
Attorno a Jean Renoir si concentrò un gruppo di talenti, giovani assistenti dal promettente futuro: Henri Cartier-Bresson, Jacques Becker, Yves Allégret, Claude Heymann, Luchino Visconti, ( sembra con il compito di curare i costumi) e suo nipote Claude Renoir. Le musiche furono affidate a Joseph Kosma, compositore ungherese naturalizzato francese. Il montaggio del film (eseguito nel 1946, quando Renoir era ad Hollywood), fu di Marguerite Houllé, all’epoca delle riprese compagna del regista dopo che nel 1920 egli si era sposato (e poi separato) con una delle ultime modelle di suo padre, Andrée Heuchling (conosciuta prima della guerra nella loro casa  a Cagnes-sur-Mer in Costa Azzurra, dove era ospitata) che figurerà nei suoi primi film con il nome d'arte di Catherine Hessling. Una particina l’ebbe anche il loro figlio, Andrè[2]. Tra gli attori Sylvia Bataille, nata Maklès; Sylvia che aveva iniziato in teatro con Jacques Prevert, ebbe tre sorelle: Rose (che sposò il pittore André Masson di cui riparleremo), Bianca, anche lei attrice come Lucienne Morand (sposata allo scrittore surrealista Théodore Fraenkel) e Simone (moglie dello scrittore Jean Piel). Aveva sposato nel 1928 il letterato francese Georges Bataille, dal quale avrà la figlia Laurence, psicoanalista, e dal quale nel 1934 si separerà, per poi divorziare nel 1946. Dal 1938 fu la compagna dello psicanalista Jacques Lacan, che poi sposò nel 1953 e dal quale nel 1941 ebbe la figlia Judith, divenuta filosofa e moglie dello psicanalista Jacques-Alain Miller che di Lacan fu allievo e curatore del lascito testamentario. I due compagni di Sylvia, nei loro decisivi apporti alla cultura del ‘900, condividono la convinzione che il desiderio si gioca su un limite, una soglia trasgredendo la quale si genera una possibilità di godimento; Lacan, inoltre, considera mutevole quel limite[3].
Questo piccolo film narra di una gita che cela, sotto l’apparenza scanzonata, momenti di confronto dei protagonisti con il proprio desiderio, con il rimpianto, con la forza delle convenzioni; una delle scene più note e affascinanti è quella di Sylvia su di un’altalena al fiume, dove la leggera veste copre e scopre le caviglie nel dondolio. Questo gioco dello svelare e coprire (che è del film e della scena) accompagnerà la sua biografia e quella delle persone a lei legate, saldandosi ad un’altra grande avventura artistica ed intellettuale tra i due secoli, come già la featurette lo fu tra le generazioni dei Renoir.
Tra il 1954 e il 1955 Lacan entrò riservatamente in possesso de L'origine del mondo, lo straordinario quadro dipinto nel 1866 da Gustave Courbet. Per comprendere le implicazioni che questa acquisizione avrà nell’intreccio tra la sua biografia, la sua produzione teorica ed il suo entourage dobbiamo tener conto delle vicende che hanno accompagnato il quadro[4].
Il diplomatico turco-egiziano Khalil-Bey aveva commissionato il dipinto per la sua collezione di arte acquistata in quanto “erotica” nella quale figuravano altri capolavori come Il bagno turco di Ingres. Molto si è opinato sulla modella rappresentata nel quadro, che, come è noto, ritrae il torso di una donna con il sesso in primo piano: secondo una recente ipotesi (formulata sulla base di un passo di Alexandre Dumas in una lettera a George Sand), si tratterebbe di Constance Queniaux ballerina dell’Opéra di Parigi ma poi anche cortigiana-amante di Khalil-Bey. Già nel passato, gli esperti dell’opera di Courbet ipotizzarono che la modella ritratta nel dipinto fosse una delle amanti di Khalil-Bey per via della sua fama di seduttore; lo storico Gérard Desanges, nel 2011 fece il nome di Jeanne de Tourbey, nota per il suo salotto letterario a Parigi. La maggior parte degli storici però concorda sull’identità di Joanna “Jo” Hifferman, moglie del pittore James Whistler e poi di Courbet. La Hifferman infatti è la modella di quattro dipinti intitolati Jo, la belle irlandaise, dipinti tra il 1865 e il 1866.
 In ogni caso è forte il rapporto affettivo che lega la modella al committente o all’autore.
LACANFino a quando lo possedette, Khalil-Bey custodiva il dipinto nascosto dietro una tenda concedendo di ammirarlo solo ad una stretta cerchia di amici; ma infine, rovinato dai debiti di gioco, col patrimonio perse la collezione.
I passaggi successivi sono incerti; secondo una ricostruzione L’Origine del mondo fu ceduta all’Hotel Drouot; poi il barone Ferenc Hatvany acquistò il dipinto dalla galleria Bernheim-Jeune di Parigi, ma esso fu sottratto dall’esercitò tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale. Ricomparso a Budapest il barone riuscì a riottenere il dipinto e lo vendette a Jacques Lacan. Lo psicanalista, per le modalità della sua custodia, dovette pensare sia alla vicenda precedente del quadro presso Khalil-Bey, sia alla donna da lui recentemente sposata e della quale era molto preso, sia al lavoro teorico che portava avanti in quel periodo. Lacan chiamò Andrè Masson, il grande pittore surrealista, suo amico e cognato di Sylvia; a lui chiese di dipingere un quadro della misura dell’altro con il quale realizzare uno sportello-schermo che lo occultasse. Attraverso un congegno che rendeva scorrevoli i due quadri, Lacan poteva “svelare” quello nascosto di Courbet. L’opera era nella casa di campagna di Guitrancourt, dove Lacan lavorava ad un tema di cui parleremo in appresso. Anch’egli prese a mostrarlo ad ospiti selezionati, stabilendo una domestica ritualità. Tra essi si annoverano Pablo Picasso, Marguerite Duras, Jean-Bertrand Pontalis, Claude Lévi-Strauss, Marcel Duchamp.  Gli invitati venivano introdotti come ad una iniziazione e si raccomandava loro la segretezza.

 Si parla poco del pannello commissionato a Masson , ma esso presenta motivi di interesse: si tratta di un paesaggio dipinto con un tratto bianco su uno sfondo color ruggine; ma in realtà  Masson ha dipinto una specie di negativo dell’originale, un paesaggio che ricalca il corpo nudo femminile in cui i seni  diventano colline, mentre la peluria dell’organo sessuale è vegetazione. Cioè  Masson riscrive allusivamente il soggetto celando/evocando la dimensione di “ambiente” che è anche, in modo diverso, nel dipinto di Courbet. Anche l’intera opera di Masson, che ha conosciuto un’alterna fortuna critica, è stata oggetto di nascondimento e riscoperta soprattutto per iniziativa del gallerista romano/abruzzese Cleto Polcina[5].

Nella stessa casa e nello stesso tempo dell’acquisizione e dell’allestimento, Lancan lavorò a preparare il suo seminario sul La lettera rubata[6], racconto di Edgard Allan Poe[7]. Anche tra le vicende de L’origine del mondo e questa prova della sua elaborazione teorica si possono stabilire connessioni e similitudini.
POECome è noto, Poe narra del furto di una lettera compromettente perpetrato dal ministro D ai danni di una gran dama di corte a Parigi (forse la Regina). Il prefetto di polizia conosce l’identità del ladro e sa che custodisce ancora la lettera presso di sé ma non riesce a recuperarla. Quando sarà coinvolto il personaggio di Poe, Auguste Dupin, il caso verrà risolto brillantemente. «Forse il vostro mistero non è che troppo chiaro», dirà Dupin al prefetto: il ladro aveva conservato la lettera in evidenza dentro un portacarte, con la sola cautela di averla girata e sigillata. Dupin la trova dopo le minuziose ed infruttuose perquisizioni della polizia perché segue la avveduta logica del ministro-ladro (con cui aveva avuto dei dissapori in passato) e lo beffa sostituendo la missiva con altra simile; ma sulla busta lascia un suo autografo: «Un dessein si funeste, s'il n'est digne d'Atrée, est digne de Thyeste»[8]. Tra i temi risalta quello del  nascondere mostrando : come la tavola di Masson in rapporto al quadro sottostante  di cui esibiva le linee camuffate; come l’altalena della scampagnata che, muovendo la gonna, copre e scopre Sylvia e come la stessa storia del film, che copre e rivela sentimenti ed inquietudini; come la pratica del celare  e mostrare di Khalil-Bey  e dello stesso Lacan, con più elaborato artificio; in fondo anche Courbet, che sembra impostare sulla massima esibizione la sua tela, cela l’identità della modella (carica dell’ affettività sua o del committente) ed, escludendone il volto, ne impedisce il riconoscimento. Questo tema in Poe ha tante declinazioni: la dama, sorpresa dal ministro-ladro con la lettera compromettente in mano, la può celare solamente poggiandola rovesciata in vista sul tavolo  ed è questa circostanza che consente il furto  a chi ha la malizia di interpretare l’apparenza; la lettera stessa vale perché è nella disponibilità del ladro che intende ricattare ma non è mai esibita perché altrimenti perderebbe quel valore; il ritrovamento è poi accompagnato dalla beffa di Dupin che, ancora, cela al ladro  quel che pone in evidenza salvo (come fanno i possessori del quadro) predisporre una chiave di svelamento. Un altro tema sta nella necessità di cambiare ottica interpretativa: Dupin riesce a trovare la lettera rubata non perché frughi in ogni dove come i poliziotti, ma perché immagina un percorso mentale. Si mette cioè in dialettica la routine poliziesca con l’intuito e la logica di Dupin ( ma anche con il brillante espediente del ladro) valorizzando uno sguardo ”altro” rispetto alle convenzionali pratiche conoscitive; questo rimanda a quella sorta di  aristocrazia iniziatica in cui Lacan coopta i suoi ospiti; ed alla riservata condivisione che l’opera,  presso il primo e l’ultimo proprietario, postula. Inoltre, la frase di scherno scritta da Dupin ( che evoca le atroci manovre e vendette dei due fratelli per il trono di Micene con adultèri, infanticidi, cannibalismo) svela, appoggiandosi sproporzionatamente al mito, che il vero obiettivo è la conquista non dell’oggetto ma del dominio: secondo la regola inconscia per cui nella comunità maschile un uomo desidera solo ciò che è già stato desiderato da un altro uomo e tendenzialmente vuole rubarglielo  (ed anche questo rimanda alla esposizione selettiva del dipinto). «A tal proposito Lacan sottolineava che “il desiderio dell’uomo è desiderio dell’Altro”, cioè desiderio di riconoscimento. Il desiderio – che dipende dal legame con l’Altro – va dunque al di là del bisogno, aprendo nel soggetto la dimensione relazionale della soddisfazione»[9]”.

 Resta da accennare alla fortuna del racconto, del dipinto e dell’intera vicenda tra i contemporanei e nel prosieguo: da Marcel Proust  («quegli oggetti che sfuggono alle perquisizioni più minuziose, e che semplicemente sono esposti agli occhi di tutti, passando inosservati su un caminetto» scrive in Sodoma e Gomorra, 4° volume della Recherche[10]) a Leonardo Sciascia in Todo modo  (anch’esso giocato sulla soluzione in evidenza e con grande ruolo  affidato ad un quadro[11]), ad Alice Munro in Lichen (racconto in cui  nel complesso rapporto femminile/maschile compare la foto di un torso nudo di donna[12]). Jacques Derrida, inoltre, condurrà sul testo del seminario di Lacan una serrata analisi, come egli aveva fatto sul testo di Poe, cercandone le contraddizioni, lungo lo sviluppo della psicanalisi freudiana[13].
Tra gli artisti figurativi, si pensi al Duchamp di Etant donné[14] , una elaborata  macchina ottica, una messa in scena  incentrata sul corpo e sul sesso di donna (un manichino in pelle rosa adagiato scompostamente nell’ambiente allestito) costruita dall’artista e schermata da un uscio attraverso cui guardare. L’opera- costruzione fu messa a punto tra il 1946 e il 1966 quando ormai si dedicava (pubblicamente) solo agli scacchi avendo come collaboratrice- modella la moglie: un altro nascondimento, un altro rapporto affettivo parte dell’opera. Mentre vi era impegnato certamente ha visto “L’origine del mondo” con le modalità volute da Lacan.

 Se dovessi indicare il luogo in cui tutte queste storie si saldano non lo cercherei a Parigi e nemmeno nella casa di Guitrancourt; lo cercherei sulle rive del Loing, al bordo della foresta di Fontainebleau; qui le generazioni dei Renoir si passarono il testimone, affidato alle arti dei rispettivi secoli; qui una giovane attrice riprodusse inconsapevolmente il gioco del nascondere e svelare, affidandolo alla sua grazia che sedusse due grandi intellettuali francesi. Credo che Lacan pensasse a lei quando ha comperato quel quadro impegnativo da pagare e da tenere, le volesse rendere omaggio. Tra la donna dipinta e la donna reale ha costruito il suo gioco ed un pensiero che ha riversato nella speculazione teorica.  Esso è dunque un luogo che ha avuto in sorte di  essere il centro di una nebulosa di eventi che si estendono dall''Ungheria alla Sicilia, dall’Abruzzo al Canada raccogliendo dei fili tenaci del passato perché potessero essere ancora intrecciati fino alla sensibilità contemporanea.

 

[1] Giorgio De Vincenti, Jean Renoir: la vita, i film, Marsilio, Venezia 1996.
[2] «Ho l'impressione di essere un uccello ... un grosso uccello che becchetta i frutti dei più disparati frutteti [...] Sono stato felice. Ho girato dei film che ho desiderato girare. Li ho girati con persone che erano più che dei collaboratori, erano dei complici. Ecco, io credo, una ricetta della felicità: lavorare con persone che si amano e che vi amano molto.» Jean Renoir, Le passé vivant, Editions de l'Etoile/Cahiers du Cinema 1989.
[3] Silvia Lippi, Trasgressioni. Bataille, Lacan, Orthotes, 2019.
[4] Thierry Savatier, Courbet e l'origine del mondo. Storia di un quadro scandaloso, Medusa Edizioni, 2008.
[5] Carmine Benincasa, Polcina Cleto: André Masson. Editrice 2C 1980. Ho avuto modo di conoscere bene Cleto, nativo di Bussi sul Tirino, studente e poi critico /gallerista di successo a Roma.
[6] Jaques Lacan, Il seminario su “La lettera rubata”  (1956),  in Scritti, Einaudi, 1974.
[7] Edgar Allan Poe: La lettera rubata, Ugo Mursia Editore, 2009. Lacan lesse il racconto di Poe (The Purloined Letter) nella traduzione di Charles Baudelaire: La lettre volee, Editore ‏Mille et une nuits 1995.
[8] Dupin aggiunge che il rivale può leggere la storia nella tragedia di Prosper Jolyot de Crébillon:“Atrée et Thyeste” (1798).
[9] Nicolò Terminio:” Il desiderio non è un bisogno” in: https://www.nicoloterminio.it/psicoanalisi-psicoterapia/psicoanalisi-lacaniana/il-desiderio-non-e-un-bisogno.html
[10] Marcel Proust: “Sodoma e Gomorra. Alla ricerca del tempo perduto.” Mondadori, 2013.
[11] Leonardo Sciascia, Todo modo, Adelphi 1995.
[12] Alice Munro: in Il percorso dell’amore”, Einaudi, 2005.
[13] Jacques Derrida, Il fattore della verità Adelphi 1978.
[14] Titolo completo: Étant donnés: 1° la chute d'eau / 2° le gaz d'éclairage (Essendo dati: 1. La cascata d'acqua, 2. L'illuminazione a gas)

 
Le foto di  Jean Renoir e Jacques Lacan  risultano di pubblico dominio.
La foto di Edgard Allan Poe è Creative Commons (CC BY SA 2.0)

 

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