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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

ALLA RICERCA DEL GALATEO PERDUTO

SPEDICATOEducazione, compostezza, misura, discrezione, equilibrio misura sono stati messi all’angolo da un’involuzione del costume di cui qui si analizzano le cause. Occorre un grande impegno culturale per risalire la china.


di EIDE SPEDICATO IENGO

                       

                                                                                                                                                                   Noi siamo gli invitati della vita: imparare a essere gli invitati
                                                                                                                                                                   degli altri significa lasciare la casa in cui si è invitati un po’ più
                                                                                                                                                                                                                    ricca, un po’più umana, un po’ più giusta, un po’ più bella di come la si è trovata.                                 
                                                                                                                                                                                                                                                                             (George Steiner)

Ciabatte e canottiere, bermuda e minigonne ombelicali, pance scoperte e reggiseni in vista; gomme da masticare appiccicate sotto le sedie di cinema, biblioteche, musei; proprietari di cani che non conoscono le norme prescritte dalle legge per chi possiede un amico a quattro zampe; vandali che sfregiano GALATEOmonumenti, siti archeologici, parchi, luoghi di culto; palazzi appena restaurati imbrattati dalle frasi demenziali di writer che alcuni critici cercano di convincere siano una forma d’arte «quasi fossero gli affreschi pompeiani o i murales messicani di Rivera o di Siqueiros»[1]; turisti che allestiscono pic-nic su scalinate storiche o si rinfrescano nelle acque di celeberrime fontane; adulti che rispondono urlando al cellulare o usando il vivavoce in strada, nei bar, nei ristoranti, nei negozi, in treno; furbi che non rispettano il proprio turno in qualsivoglia fila per guadagnare posizioni di vantaggio; giovani e meno giovani che sembrano non conoscere la differenza tra il dare il “tu” o il “lei;  maschi e femmine che usano frasari picareschi, locuzioni scurrili, frasi sboccate, atteggiamenti sguaiati; umani che a tavola si grattano la testa, controllano sistematicamente il telefono cellulare e, dimenticando di condividere con altri la stessa tavola, o non rivolgono la parola al proprio vicino o lo annoiano con argomenti di cui questi non sa nulla; personaggi pubblici che in TV non si separano mai da berretti, cappelli, magliette stropicciate e blu jeans scalcinati verosimilmente neppure nella cabina della propria doccia; conduttrici e conduttori televisivi che, in ossequio alle regole dello spettacolo, interrompono sgarbatamente il discorso dei propri ospiti promuovendo la bagarre e il nullismo del pensiero, sono solo alcuni fra gli esempi più ricorrenti e dilaganti di un “costume” che lascia la porta aperta allo sfogo delle reazioni primarie e mette rovinosamente in un canto ogni forma di educazione, compostezza, misura. Che l’involuzione del costume civile abbia superato limiti di guardia lo dimostra anche la circostanza che l’Università “La Sapienza” di Roma ha organizzato con l’Accademia italiana galateo uno stravagante master sulle regole dell’educazione. Al corso, che ha raccolto il favore di architetti, medici, infermieri, avvocati, professionisti in svariati campi, si tengono lezioni sui comportamenti da adottare nella vita professionale, sul tono di voce da usare in un colloquio di lavoro, sulle espressioni da tenere quando si parla in pubblico, sulle parole e sulle frasi da evitare nelle e-mail e sui social network per non incorrere in gaffe, scortesie, fraintendimenti.
Di chi la responsabilità della rottura degli argini di quegli usi comuni che, fino a qualche decennio fa, educavano alla discrezione, all’equilibrio, al decoro? A quali burrasche sociali è da imputarsi la sfrontata, disinvolta maleducazione di certi comportamenti che sono invariabilmente il sintomo di una rovinosa involuzione del costume civile?
Più concause, va da sé, concorrono all’espressione di tale stato di cose. La prima va individuata nella circostanza che è saltato il sistema educativo, in particolare nello spazio della prima socializzazione, ossia nella famiglia, abitata prevalentemente da adulti assai poco impegnati su tale versante.  Da parecchi anni i tracciati educativi familiari appaiono sempre più marcati dall’incuria, dalla fretta, dalla trascuratezza e, quindi, lontanissimi dalla dimensione propositiva e relazionale alla quale il mondo infantile e adolescenziale avrebbe diritto. Di qui, negli itinerari iniziatici di bambini e adolescenti, la carenza di guide autorevoli, affidabili, riflessive, responsabili, credibili: insomma, capaci vuoi di orientare nell’acquisizione di regole, idee, condotte coerenti, valori per i quali vale impegnarsi; vuoi di accompagnare nel processo di emancipazione, auto-determinazione, controllo dei propri impulsi. Le tante visione di sé tolemaiche e il corredo di prassi scomposte, dionisiache, autoreferenziali che nell’oggi è dato macroscopicamente riscontrare sono, non casualmente, gli esiti dell’indifferentismo educativo.
La seconda causa alla base della debilitazione dell’educazione (nel suo significato non solo di formazione ma anche di comportamento esteriore) risiede nella percezione della istituzione-scuola come servizio da consumare[2] e non in veste di ambiente in cui ci si forma sul versante culturale, civile, esistenziale. Nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado, per esempio, il vocabolo “disciplina” è sparito da un pezzo e la compostezza è corredo di pochi. E non potrebbe essere altrimenti. La trasformazione della scuola in un’aziendina (che deve accogliere clienti e non studenti) chiude insegnanti e dirigenti in una gabbia burocratica antitetica al compito educativo[3], impone di alleggerire i contenuti culturali a favore delle attività extracurricolari e socializzanti e, non da ultimo, sconsiglia vivamente ogni intervento correttivo che produrrebbe cattiva pubblicità. L’implicazione pratica di tale cambio di passo è la debilitazione dello spirito critico, del sapere, della cultura, dell’impegno, della responsabilità, del senso di opportunità.
In questo quadro vistosamente traballante, almeno altri due fattori concorrono a rendere cibi incommestibili il giudizio rigoroso, il senso critico, la correttezza comportamentale. Mi riferisco qui sia all’uso non regolato delle nuove tecnologie digitali, sia al mezzo televisivo. Le prime, sostituendo il sapere sistematico con quello diffuso e irrelato sono responsabili dell’homo interneticus, un’unità evolutiva nuova, simbionte di corporeità, tecnologia e virtualità, che promuove profili individuali e collettivi narcisisti, esuberanti, abilissimi nel surfismo mentale, sempre pronti a intervenire, a dire la loro (verosimilmente anche su ciò che hanno solo orecchiato) e, ovviamente, lontanissimi anni-luce sia dal significato di conoscenza come metodo, concentrazione, fatica, pazienza, umiltà, passione;  sia dall’educazione come addestramento all’uso corretto ed equilibrato fra diritti e doveri, libertà e regole, riservatezza e disinvoltura. 
Tranne poche eccezioni, il rimodellamento semplificante dell’informazione, la superficialità, l’etero-direzione, l’orientamento all’esposizione compiaciuta di sé (a qualunque prezzo) si accentuano nel mezzo televisivo. Il piccolo schermo, peraltro non da oggi, offre un ricco armamentario di programmi pensati per vezzeggiare le inclinazioni meno nobili degli umani. Dimostra quanto appena detto, per esempio, il successo di quei “salotti” televisivi pettegoli e sguaiati in cui si litiga, ci si confessa, si piange, si discute di problemi intimi e personali, ci si insulta, fra il compiacimento di conduttori, conduttrici, ospiti gesticolanti e vocianti che, verosimilmente, non hanno mai avuto in sorte di avvicinare la sobrietà, la grazia, i toni dello stile, le sfumature dell’eleganza.
Che fare per colmare i deficit educativi di cui soffre la nostra quotidianità? Quali piste seguire per alzare lo sguardo dall’ombelico all’orizzonte e chiudere in soffitta il pressappochismo e il giustificazionismo diffuso e praticato? Al momento, qualche forma di contrasto in tale direzione è dato cogliere in alcune scuole e presso alcune amministrazioni comunali. Per esempio, un comune della provincia di Verona ha scelto di sospendere il servizio di scuola-bus agli scolari che non rispettano le regole minimali della disciplina e della buona educazione. Il rischio per i contravventori è quello di raggiungere la scuola a piedi per tre giorni, e per tutta la durata dell’anno scolastico se non ci si corregge[4]. In un istituto comprensivo di Scampia, la cascata di treccine blu elettrico raccolte in una coda in mezzo alla testa rasata (regalo di compleanno della mamma) è costata a un tredicenne l’esclusione dallo spazio delle lezioni quotidiane e consentita solo la frequenza ai laboratori. Alle proteste della famiglia la dirigenza scolastica ha ricordato che i genitori sottoscrivono ogni anno un patto di corresponsabilità con la scuola che poggia su regole che valgono per tutti, insegnanti e alunni (il ragazzino in questione ha saggiamente rinunciato alla sua colorata acconciatura)[5]. In una scuola media inferiore di Massa Carrara, dato l’alto numero di richieste (oltre cento) di partecipazione alla gita scolastica, il consiglio scolastico ha deliberato di ammettere al viaggio solo gli studenti che hanno un buon voto in condotta e sono affidabili sul versante del comportamento. I genitori degli esclusi, come prevedibile, hanno protestato, ma non l’hanno spuntata. Il motivo dell’opzione era, infatti, più che valido: garantire la sicurezza degli alunni e quella dei docenti-accompagnatori per i quali scattano le denunce se qualcuno si fa male. Troppi incidenti durante le gite scolastiche dipendono dall’eccessiva ineducazione-esuberanza dei ragazzi[6].
Applicare le sanzioni per promuovere il civismo è, indubbiamente, un primo passo per contrastare l’irresponsabile stagione dell’indulgenza che da anni sta corrompendo il tessuto sociale e civile.  Ma, ovviamente, le sanzioni da sole non bastano, e soprattutto non basta applicarle all’ultimo anello della catena della negligenza civile ed educativa. Data la popolarità degli “eleganti” profili sociali elencati ad inizio di questa nota, non sarebbe peregrino suggerire a tutte le università del territorio nazionale di attivare corsi gratuiti da rivolgersi agli adulti sull’educazione, il civismo, le buone maniere. I bambini e gli adolescenti sono lo specchio di quello che viene loro proposto fra le mura domestiche e fuori, nell’agorà virtuale e in quella reale. Dunque, più che colpevoli sono vittime. Vittime di un mondo adulto che sembra aver smarrito il significato delle funzioni- che dovrebbe ricoprire.

[1] G. Ravasi, Le parole e i giorni, Mondadori, Milano, 2010, p.122.
[2] G. Priulla, L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese, Franco Angeli, Milano, 2011, p.25.
[3] «Agli insegnanti si chiede solo di esserci, il maggior numero di ore possibile –annota Paola Mastrocola-  di non creare problemi all’utenza e quindi alla direzione; di riempire tutti i buchi e i ruoli possibili, semmai anche di aggiornarsi un po’ ogni tanto studiando non la propria materia, ma le nuove tecnologie pedagogiche, le nuove norme legislative, le nuove tecnologie». P. Mastrocola, La passione ribelle, Laterza, Bari-Roma, 2015, pp.34-35.
[4] Il maleducato resta giù dallo scuolabus in “Popotus”, 8 ottobre 2019.
[5] Ha le treccine blu non è ammesso in aula in “Popotus”, 27 settembre 2019.
[6] In gita ci sarà solo chi è educato in “Popotus”, 7 marzo 2019

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