Questo sito utilizza i cookies per migliorare l'esperienza utente. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo.

 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

LE STORIE DI ZI' ANGELO

ZI ANGELO CELESTINI2In memoria di un uomo semplice e speciale, che teneva viva la memoria del paese con uno stile narrativo spontaneamente nutrito di echi del teatro classico antico.

                                                  di RITA BARTOLUCCI


Nel pieno della scorsa estate, la comunità di Paglieta[1] si è trovata di colpo impoverita per la perdita del cittadino suo più caro: Angelo Coccia. Un uomo virtuoso e saggio con alle spalle ben 97 anni, che lo hanno condotto a doversi misurare con gli eventi più drammatici del Novecento; il secolo definito dallo storico britannico Eric Hobsbawm Breve, per via delle grandi trasformazioni avvenute nel suo corso, nell’arco di solo settantasette anni, compresi tra lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914) e la fine dell’Unione Sovietica (1991).

Ma, breve o lungo che lo si voglia considerare, quel tempo costrinse tanti ad affrontare imprese non condivise; e fu così che Angelo Coccia dovette partire nel 1943, a poco più di diciannove anni, per una guerra – la Seconda mondiale – da cui presagiva sarebbe scaturito solo danno, specie per chi già mal versava. Sopravvissuto fortunatamente ai fatti bellici, attese poi alle vicende della normale vita che pur lo impegnarono in qualche misura, non potendo far conto su particolari beni se non sulla sua sola serietà di lavoratore.
Col crescere degli anni prese gusto anche al narrare di sé e del vissuto altrui; non per narcisismo – da cui distava anni luce per carattere, natura e, riguardo al quale, nulla sapeva se non che potesse, forse, trattarsi di qualche fenomeno di bella fioritura – ma, più semplicemente, per non vedere andar dispersa nell’oblio una realtà difficile senz’altro, eppure portatrice di valori.
Zi’ Angelo, così familiarmente e affettuosamente chiamato da quanti lo conoscevano, era noto molto oltre la ristretta circoscrizione territoriale paesana per aver fama di stimato narratore di fatti e uomini, delineati sempre con garbo, gentilezza, nonché ironia sottile e in uno stile spontaneamente nutrito di echi del teatro classico greco e romano, culla di miti, leggende ed enigmi.
Un mondo, lontano ormai, perduto forse anche per sempre; eppure vivo e attuale, fin poco addietro all’oggi, principalmente nelle piccole realtà agricole del Mezzogiorno italiano; là dove la gente tutta si conosceva e le porte delle case erano un invito all’ospitalità.
Ho conosciuto tardi questa splendida figura d’uomo, per istinto attore, in quanto non nativa del suo paese; ho comunque avuto modo in più occasioni pubbliche e private di apprezzarne la grande umanità che lo avvicinava agli altri senza preclusioni di età e gli consentiva di coglierne e condividere affanni e gioie.
Per i più piccoli era il nonno perfetto che sapeva avvincerli con storie d’altri tempi e d’altra vita eppure attuali, in grado di dissolvere, nel sorriso della battuta comica, anche le paure nuove che affliggono tanti bambini odierni. Per i più grandicelli, a scuola dove spesso era invitato, era fonte viva e inesauribile di notizie sul paese, sui suoi trascorsi economici e sociali e sui cambiamenti verificatisi. Era abile maestro nel fornire informazioni storiche senza tediare la giovane platea, suscitando in essa la curiosità per la conoscenza. Ad arte coniugava aneddoti burleschi, riferiti a soggetti tipici di quel passato vicino e lontano, affiancandoli a situazioni drammatiche da cui magari avevano tratto origine, perché i ragazzi capissero quanto la comicità spesso si accompagni al dramma.
Il suo ambiente ideale era il teatro, inteso come luogo d’incontro, di comunicazione e d’ascolto; ogni spazio si prestasse a tali fini diveniva immediatamente sede privilegiata per avviare rapporti con la gente, sia che si trattasse di aie sotto le stelle estive, di slarghi urbani o di private abitazioni. Ma al Piccolo teatro del Me-ti di Paglieta, fondato e diretto dal regista Sandro Cianci, era particolarmente e affettivamente legato; in esso ZI ANGELOaveva trovato modo per dare forza al sogno di mantenere vive la tradizione, la storia, le radici di un popolo e di un paese, in molto simili a quelle di tant’altre località del Sud Italia. Il palcoscenico, di qualunque tipo fosse, era per lui la più comoda dimora. Sotto le luci fortuite o dei riflettori era così a suo agio, calmo, tranquillo, da contagiare gli spettatori del suo medesimo sentire e già con la sola presenza fisica era in grado di attrarre l’attenzione. Si porgeva con una naturalezza priva di artifizi che era di garanzia al suo narrare e le storie acquisivano corpo e sangue sotto l’inseparabile copricapo, posto a decoro di un abbigliamento d’altri tempi e in funzione di rispetto e di saluto per possibili incontri. Una pacata gestualità assecondava ogni racconto e lo rendeva visibile agli occhi incantati dei presenti.
Tutta la sua persona riconduceva alla figura sacra degli aedi, dei cantori erranti considerati alla stregua di profeti in quanto ispirati dalle stesse divinità che nell’antica Grecia – e successivamente anche dopo in qualità di giullari, trovatori, cantastorie – andavano di corte in corte in funzione di memoria storica per ricordare e tramandare oralmente le conquiste e le conoscenze collettive di una civiltà.
L’aedo, al pari di Zi’ Angelo, non faceva ricorso a testi scritti, diveniva di volta in volta egli stesso compositore e le storie così cantate, spesso con l’accompagnamento della lira, contribuivano a creare l’identità di un popolo. Persino il linguaggio utilizzato dai rapsodi riviveva nella voce di Zi’ Angelo che sapeva comunicare in modo diretto e semplice con uno stile ricco di epiteti, formule ricorrenti, di proverbi, detti popolari e indovinelli che rendevano il pubblico parte attiva del racconto e lo coinvolgevano emotivamente. Da grande artista utilizzava con sapienza le pause nel discorso per tenere alta la tensione tra i presenti e bambini e adulti si lambiccavano il cervello nel tentativo di trovare soluzioni ai suoi enigmi. Tra narratore e spettatori veniva così a stabilirsi una forte intesa e un profondo dialogo; ho l’ardire di affermare che l’atmosfera generata da tali situazioni fosse assimilabile a quella vissuta dal mitico eroe-viandante Edipo al cospetto della Sfinge, solo  che, nel caso di Zi’ Angelo, la Sfinge non era l’orrendo mostro assetato di sangue pronto a sbranare chi sbagliasse a formulare risposte ai quesiti, ma un uomo dolce e buono col solo intento di far divertire la gente facendola anche un po’ pensare.
Della sua vita privata poco ho da dire, non tanto per la sporadica frequentazione tra me e lui intercorsa, quanto perché ritengo che la sfera degli affetti familiari debba restare inviolata. Una cosa soltanto posso aggiungere: quella di aver sempre notato nella sua persona una profonda coerenza tra l’arte come vita e la vita come arte, davvero rara e preziosa a riscontrarsi tra gli umani, spesso più propensi a sentenziare bene e a “razzolare” male e che di lui ha fatto un uomo speciale e straordinario.


[1] Paglieta è un comune abruzzese di circa 4 200 abitanti, in provincia di Chieti.

Commenti   

#1 vincenzo 2022-01-28 15:45
Non ho conosciuto Zi' Angelo ma mi è piaciuto leggerne la descrizione. Come sempre, la scrittura di Rita ha suscitato in me grande curiosità. In un attimo sono passato piacevolmente dalla penna di Zi' Rita alla voce di Zi' Angelo.

Per inserire un commento devi effettuare il l'accesso. Clicca sulla voce di menu LOGIN per inserire le tue credenziali oppure per Registrati al sito e creare un account.

© A PASSO D'UOMO - All Rights Reserved.