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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

PICCOLI BULLI CRESCONO

SPEDICATOLa tolleranza indulgente e le responsabilità fantasmatiche che accompagnano il triste primato italiano delle vittime di bullismo nelle scuole. Le strade della responsabilità, della consapevolezza e delle regole.

 

FIRMA SPEDICATONel nostro Paese il bullismo è prospero, vitale e allarmante. Lo documenta lo studio della ONG Bullismo senza Frontiere condotto nel periodo gennaio 2021/febbraio 2022 che colloca l’Italia tra i paesi con il maggior numero di bambini e adolescenti vittime di questa patologia sociale sull’intero universo degli studenti delle scuole primarie e secondarie (19.800 casi gravi)[1] e, sul piano nazionale, ne dà conferma l’Istat. Dalle ultime rilevazioni effettuate dall’Istituto nazionale di statistica emerge che nel 2022 il bullismo ha colpito il 46% degli alunni delle Scuole medie inferiori e il 35% degli studenti degli Istituti superiori e, rispetto al biennio precedente, è aumentato di due punti nelle Scuole medie inferiori e di tre negli Istituti superiori (nel 2020 aveva coinvolto rispettivamente il 44% e il 32% degli studenti nei due ordini di scuola considerati)[2]. Prolificano anche le persecuzioni virtuali: i dati Istat relativi al 2020 documentano che nella rete del cyber-bullismo è scivolato il 39% di studenti: il 21% nelle Scuole medie inferiori e il 18% negli Istituti DONNAsuperiori. In vistosa evoluzione è, poi, il bullismo femminile, quello che graziosamente viene definito “rosa”.
Dunque, il vocabolo “bullo” che fino a qualche anno fa evocava mondi e comportamenti prettamente maschili (il branco, la violenza fisica, le derisioni, le angherie, le sopraffazioni, le minacce) sta spalmandosi democraticamente e in modo accelerato su entrambi i generi: le “cattive ragazze” non costituiscono più una minoranza, stanno colmando il divario che le divide dai loro contraltari maschili e a breve raggiungeranno la parità. Tra l’altro, non è solo l’età adolescenziale ad esibire tale primato: anche le pre-adolescenti non disdegnano di farsi interpreti di questa pratica. Per esempio, nel periodo gennaio-marzo di quest’anno una tredicenne è stata brutalmente aggredita da alcune coetanee con forbici, pugni e calci a Mantova e, a Napoli, un’altra ragazzina è stata insultata, strattonata e pestata a motivo di un coetaneo (forse conteso?): in aggiunta le è stata strappata una ciocca di capelli. La bravata, ovviamente è stata filmata e inviata in rete.
Le bulle, quindi, sanno impegnarsi in soprusi, prepotenze, e, all’occorrenza, anche nell’imitazione dei peggiori atteggiamenti maschili: schiaffi, morsi, spinte, intimidazioni, turpiloquio non mancano di arricchire il loro sguaiato corredo verbale e comportamentale. Tuttavia, e diversamente dai bulli, appaiono più inclini a servirsi di strategie meno eclatanti, più subdole, malevole: tanto taglienti nel ferire con sottile perfidia quanto affilate nell’infliggere cicatrici profonde e difficili da sanare. Il bullismo” rosa”, insomma, sembra far leva soprattutto su forme di violenza morale, psicologica, persecutoria attraverso esclusioni, calunnie, malignità, video diffamatori.
Per arginare e prevenire questa patologia (che, detto per inciso, causa nelle sue diverse versioni più di 200.000 morti l’anno in tutto il mondo»[3]) non mancano, ovviamente, le azioni di contrasto: piani e reti di supporto tra scuole per condividere buone pratiche, attività di formazione alla convivenza pacifica e alla risoluzione dei conflitti,  programmi di mentoring e supporto per le vittime, sistemi di segnalazione anonima per interagire con la Polizia di Stato (attraverso l’App You Pol), formazione degli insegnanti sul tema.
Ma inquadrare il problema, indicarne i punti critici e definire gli interventi da prendere a livello di macro-sistema è solo un aspetto della questione. A livello micro, sul versante educativo la replica corretta a chi si esprime attraverso questa forma di violenza (che, vale non dimenticarlo, è BULLISMOun’espressione di forza bloccata al livello primordiale e poco evoluta) è promuoverne la responsabilità individuale, ovvero l’apprendimento e la consapevolezza di regole da rispettare e limiti da non superare. È vero che gli adolescenti quando sbagliano hanno diritto alle attenuanti: devono ancora imparare molte cose. È vero, altresì, che spesso chi adotta tali comportamenti è figlio di circostanze, vissuti familiari e sociali negativi, ambienti aggressivi, traumi non metabolizzati, ma è altrettanto vero che non riconoscerne la responsabilità, assolvere in partenza, mostrarsi tolleranti, rendere certi dell’impunità non significa aiutare. Significa, all’opposto, impedire al bullo di crescere e maturare, privarlo dell’esperienza di ostacoli con cui confrontarsi, abbandonarlo a se stesso, chiuderlo nella nicchia dell’irresponsabilità, gonfiarlo di vuoto. Le istituzioni, per esempio, nei confronti di questa patologia sociale (peraltro in evoluzione) che avrebbe bisogno di precisi correttivi, mostrano talora atteggiamenti di attenzione/disattenta, talaltra si limitano a monitorarla e solo raramente applicano la fermezza che la situazione richiederebbe. Ma, varrebbe non dimenticare, che senza regole non c’è scena dialettica, senza ostacoli con cui confrontarsi non si sperimenta il senso del limite, senza sanzioni educative non si ha coscienza del significato di responsabilità individuale.
A proposito delle sanzioni che non godono di favore in questi nostri tempi sempre più indulgenti per convenienza vale spendere almeno una riflessione. Diversamente da chi le considera un odioso esercizio del potere, le sanzioni (per dirla con Anna Oliverio Ferraris, una delle più attente studiose sulla realtà infantile e adolescenziale) vanno intese, all’opposto, in veste di strumento per rendere consapevoli dei propri atti e promuovere la riflessione e la libertà di scelta: sono un “mezzo”, quindi, non un “fine”.  Ovvero, e detto in modo più esplicito, la sanzione educativa non è una contro-violenza, né una vendetta, né una rappresaglia: è un segnale, una battuta d’arresto volta a interrompere una tendenza. «Chi difende la sanzione educativa –continua la Oliverio Ferraris-  sostiene che un ragazzo che proviene da una famiglia o da un ambiente in cui riceve messaggi confusi su ciò che è bene e ciò che è male, o anche nessun messaggio, ha un’occasione per imparare e capire che cosa la comunità si aspetta da lui come da tutti gli altri»[4]. Insomma, la sanzione educativa, attribuendo al bullo o alla bulla la responsabilità dei propri atti, fornisce un risarcimento alla vittima e ristabilisce l’equilibrio che il gesto violento ha alterato[5]. Punire, va da sé, non è mai un’operazione semplice, né gratificante: ma nel caso che qui si discute significa comunicare in modo deciso e determinato che prevaricare non paga, che il mondo non appartiene ai violenti, che la tutela della convivenza societaria poggia sulla inderogabilità di norme comuni e condivise.
Tuttavia nell’attuale scenario di porosità sociale – in cui soffrono di afasia il pensiero logico-razionale, il civismo, l’impegno etico, l’esercizio della responsabilità, le azioni in prospettiva di lungo periodo che offrono un significato alla vita – è verosimile ritenere che la violenza continuerà a trovare confortevole ospitalità e il bullismo (nel mondo reale e in quello virtuale) terreno fertile per prosperare.

 

[1] https://bullyngsinfronteras.blogspot.com/2022/03/statistche -sul-bullismo
[2] https://magazine.igeacps.it/bullismo-un-fenomeno-sociale-in-crescita 
[3] Idem.
[4] A.Oliverio Ferraris, Piccoli bulli e cyberbulli crescono. Come impedire che la violenza rovini la vita ai nostri figli, Bur Parenting, 2017, p.148.
[5] Idem, p.149

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