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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

RECLUTE ANNICHILITE

MARINESIl rapporto tra livello culturale e adesione ai miti guerreschi. Le lezioni di Stanley Kubrick e Mauro Calamandrei.

    di ROBERTO LEOMBRONI

ROBERTONegli ultimi giorni, la grande cinematografia mondiale ha perso alcuni dei suoi più illustri rappresentanti. Accanto a due celebri registi, Milos Forman e Vittorio Taviani, a 74 anni è morto anche l’attore americano R. Lee Ermey. Il mitico fanatico sergente Hartman. Istruttore dei marines nel campo di addestramento di Parris Island (Carolina del Sud) nell’indimenticabile film di Stanley Kubrick Full Metal Jacket (1987).
Per una singolare coincidenza, la notizia della morte di Ermey l’ho appresa più o meno contemporaneamente alla scoperta di un vecchio articolo di Mauro Calamandrei, su L’Espresso del 10 marzo 1968, dal titolo I tigrotti di Johnson. Nel quale si fornivano interessanti informazioni proprio sul suddetto addestramento. Che significativamente l’autore paragonava a una serie di veri e propri riti di iniziazione tribale. Più di vent’anni separano il film di Kubrick dall’articolo di Calamandrei. Ma appare verosimile che quest’ultimo abbia costituito una fonte importante del capolavoro cinematografico. Soprattutto in relazione al carattere apparentemente surreale (si tratta purtroppo invece della realtà) del disumano annichilimento (Calamandrei parla efficacemente di “un misto di elettrochoc ed esercizi spirituali”) a cui le reclute venivano sottoposte da parte di istruttori fermamente convinti della propria “missione” salvifica.
Di particolare interesse risultava l’accurata analisi sociologica condotta da Calamandrei in relazione alla provenienza sociale dei 75.000 ragazzi che ogni anno si arruolavano volontari nei marines. Dalla quale risultava (pur in assenza di dati facilmente accessibili) un quadro inequivocabile. Ovvero che nel corpo confluivano “soprattutto i poveri, i giovani provenienti dagli Stati del Sud”. Che “i volontari di estrazione provinciale”, provenienti “da borgate o paesotti” risultavano “in maggioranza schiacciante rispetto ai ‘cittadini’”. In parole povere si trattava di “poveri ragazzi in cerca di uno status sociale”. Ovvero, pur con qualche eccezione, dei drop-out. Giovani che avevano abbandonato la scuola prima di completare gli studi medi obbligatori. Come si vede, un ambiente sociale ben diverso rispetto a quello dei giovani “acculturati” che, sin dagli inizi della “sporca guerra”, manifestavano contro di essa nei campus universitari e nelle strade di New York, Los Angeles, Chicago… Accompagnati dalla colonna sonora delle canzoni di Bob Dylan e Joan Baez.
Tali dati confermano una realtà difficilmente confutabile. Non solo in relazione ai marines e alla guerra nel Vietnam. Ma facilmente estendibile alle odierne tendenze guerrafondaie. Ovvero che esiste un rapporto inversamente proporzionale tra il livello culturale individuale e collettivo, da una parte, e la sensibilità nei confronti di miti e parole d’ordine bellicisti e “superomisti”, dall’altra. Quei ragazzi descritti da Calamandrei e da Kubrick si sottoponevano senza reagire (salvo rarissime eccezioni) a ogni sorta di umiliazioni, soprusi e angherie da parte dei loro superiori. In nome di una mitologia patriottica e della suprema missione di esportare la democrazia occidentale in un’altra area del mondo. Oltre che di una patologica smania di affermazione personale. Motivazioni perfettamente funzionali allo scopo di perpetuare i loschi interessi degli eterni trafficanti di armi.
Sarà questo il motivo per cui la cultura e l’istruzione critica vengono considerate sempre con il fumo negli occhi da parte di ogni sorta di establishment politico e militare?

 

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