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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

DIALOGHI SUL JUDO

judoGiuseppe Tribuzio, Dialoghi sul Judo. Filosofia e pratica per una nuova educazione fra Oriente e Occidente, Luni Editrice, Milano, 2019, pp.304.
Recensione di EIDE SPEDICATO IENGO

Questo originale volume sul Judo è molte cose insieme: è la lettura accurata e puntigliosa di questa disciplina marziale dal raffinatissimo bagaglio tecnico e culturale; è la descrizione del pensiero e del metodo di Jigoro Kano, suo ideatore; è un invito ad arginare i percorsi esistenziali che si accontentano di procedere a vista senza rotte di riferimento; è un caveat nei confronti delle mitologie che avvitano nelle proprie ovvietà e nelle idee scontate e auto-evidenti; è una solida, ragionata analisi sull’educazione intesa nella sua accezione più ampia; è la dimostrazione che il Judo rivisita e ripropone temi e corredi valoriali che appartengono alla migliore tradizione dell’Occidente.
L’autocontrollo, l’equilibrio, la disciplina, il rispetto delle regole, l’armonia tra il corpo e la mente della pratica judoista allacciano, infatti, vistosamente al pensiero classico greco, come documenta, per esempio, il codice etico della kalokagathia, ovvero l’identità fra bellezza e virtù, fra etica e perfezione fisica. Anche la pratica della meditazione che, nella cultura giapponese e nella tradizione del Buddhismo Zen, si associa a un momento formativo nel quale maestro e discepolo “dialogano” per confrontarsi e migliorare le proprie esperienze, assolve alla medesima funzione del dialogo maieutico di Socrate. Dunque, dialogare sul Judo comporta sia individuare e approfondire le assonanze che allacciano questa disciplina al pensiero occidentale (delle quali, verosimilmente, non si ha che scarsa consapevolezza); sia prestare attenzione, per correggerle, alle numerose criticità sociali, normative, culturali che stanno vistosamente compromettendo la stabilità della nostra società.
L’idea del libro nasce dalla constatazione che, nella formazione judoistica, se accuratissimo è lo spazio dedicato alla tecnica, non altrettanta diligenza viene riservata alla riflessione sulle potenzialità filosofiche, pedagogiche, formative e di recupero sociale di questa disciplina (p.21), sebbene nella dottrina del suo ideatore, Jigoro Kano, il Judo (espressione moderna del jujitsu, la disciplina dei samurai) venisse insegnato come pratica marziale e come proposta educativa, intellettuale, etica: ovvero, come filosofia pratica, congrua sia a rispondere a necessità strettamente individuali (come la voglia di affermarsi), sia a promuovere comportamenti virtuosi e, dunque, vantaggiosi anche per la collettività, perché orientati al rispetto, alla lealtà, alla correttezza, alla legalità.   
Ma cosa ha indotto l’Autore a impegnarsi in tale analisi? Sicuramente l’obiettivo di avvicinare coloro che praticano questo sport alla conoscenza delle sue radici storiche, filosofiche, etiche e culturali. Sicuramente la consapevolezza che praticare e affermarsi in tale disciplina senza dare un senso a ciò che si fa, ossia curare solo gli aspetti tecnici (il saper fare senza accompagnarlo al perché farlo) significa imboccare un percorso incompiuto e claudicante, poiché un conto è imparare il Judo e altro è imparare a comportarsi da judoka e non solo nello spazio della palestra: ossia seguirne il dettato anche nel proprio essere e agire quotidiani. E non da ultimo, sicuramente la convinzione che il Judo può (potrebbe) figurare fra le discipline curriculari del nostro sistema scolastico per la sua connotazione di metodo educativo e stile di vita.
La struttura espositiva del volume poggia su due sezioni. La prima, sostenuta da un ampio corredo di riferimenti storici, filosofici, pedagogici, si sofferma sulla funzione del Kogi. Con questo termine si intende uno spazio di riflessione critica (una conferenza, un seminario o una lezione magistrale) in cui si affrontano temi all’apparenza anche marginali rispetto al Judo, ma indispensabili per ampliare il bagaglio conoscitivo di coloro che lo praticano. Questo spazio educativo-formativo, che richiede concentrazione, tempo e alte competenze comunicative e relazionali, eleva il Judo al livello di una scienza che ha bisogno di essere spiegata e insegnata parallelamente alle ricerche che ne approfondiscono e chiariscono gli elementi relativi alla pratica (pp.33-34). All’interno di tale cornice, particolare attenzione è dedicata alla relazione maestro-discente e, in specie, al “dover essere” dell’insegnante, il cui fine è guidare i suoi allievi all’uso autonomo delle capacità razionali e di giudizio e promuoverne, così, l’indipendenza attraverso il cosiddetto “parricidio magistrale” (pp.66-76).
La seconda sezione, la scoperta del Mon-do, che attiene alla pratica di discutere gli argomenti in modo dialettico senza seguire uno schema prestabilito, poggia su momenti formativi «in cui maestro e discepolo interagiscono in modo informale, attivando un dialogo fatto di domande e di risposte, finalizzate ad una migliore comprensione della propria esperienza» (p.15). La pratica del Mon-do consente al discente di esprimere i suoi dubbi senza timore di essere giudicato e al docente di mettersi in discussione, accettare le critiche dei suoi allievi, esporsi pubblicamente per sollecitare il pensiero di coloro che sono a lui affidati.
Questa parte del volume, composta da ventiquattro capitoli corrispondenti alle ventiquattro lettere dell’alfabeto greco, poggia su temi e argomenti che, pur appartenendo alla cultura del judo, si aprono a ventaglio su temi sociali, civili, educativi (come l’amicizia, il civismo, la legalità, il decoro, l’equilibrio, il contegno, la perseveranza, il rispetto, la fiducia, l’autostima, l’onestà, l’auto-controllo), ai quali la nostra sciatta, ignava, burocratica quotidianità (peraltro, orfana di maestri da troppo tempo), non presta che scarsissima attenzione: in specie negli spazi formativi, che dovrebbero insegnare a diventare “cittadini”. Al proposito, basterebbe riflettere sugli esiti legati alla riduzione di consenso sociale intorno alla cultura (da cui il discredito dello studio e la rottamazione di intellettuali, artisti, scrittori), o sul mito della produttività immediata, travasato maldestramente nel terreno dell’educazione, o sui guasti prodotti dall’ingresso della mediocrità di massa nelle aule scolastiche che, nell’organizzazione del sapere, hanno spazzato via l’impegno per la conoscenza, lo studio astratto, i contenuti e, nella declinazione esistenziale, il significato di competenza, rigore, merito, passione.
Molto altro, ovviamente, si potrebbe aggiungere su queste pagine stimolanti e convincenti, ma quanto brevemente esposto, spero, abbia sufficientemente chiarito che questi Dialoghi sul Judo oltre a  inscriversi con chiarezza e originalità nel dibattito fra Oriente e Occidente, oltre a saldare un debito storico nei confronti della cultura umanistica sciaguratamente e colpevolmente emarginata dagli scenari e dalle coscienze dell’oggi, sollecitano a tutelare con cura un vocabolo che la sempre più devitalizzata società presentista ha sciaguratamente espunto dal proprio vocabolario: quello di educazione.
Non per caso, precisamente l’educazione costituisce la parola-chiave del capitolo conclusivo, in cui si ritiene non utopico prendere in seria considerazione il valore pedagogico del Judo nella istituzione-scuola. L’Autore sostiene con fermezza questa idea e c’è da credergli per almeno tre buoni motivi: perché è un docente universitario esemplare, un judoka di rango e un qualificato Maestro di Judo della Federazione Nazionale. Non è dato conoscere, al momento, se avrà un futuro questa sua proposta. In ogni caso la sua è una battaglia che va da combattuta: perché le battaglie che servono a fare autocritica, a far incontrare le idee, a immaginare un futuro migliore non sono mai battaglie perse.

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