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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

GIUSEPPE DI ARIMATEA

GIUSEPPE ARIMATEAAttraverso i Vangeli, la figura di una forte personalità nel contesto della difficile situazione politica e sociale che caratterizzava il dominio romano in Palestina. Fu l’uomo che si occupò della sepoltura di Gesù.


di
PERPETUA[1]

 

In questo articolo si punteranno i riflettori sul più conosciuto dei due personaggi (l'altro è Nicodemo) che accompagnano gli ultimi momenti della vita terrena di Gesù, coloro che si occupano della Sua sepoltura, ossia Giuseppe di Arimatea, di cui si cercherà qui di tratteggiare la personalità, sempre attraverso ciò che di lui ci hanno tramandato i Vangeli. Questo personaggio è presente in tutti i Vangeli canonici, ma con accentuazioni e particolari diversi a seconda dei singoli evangelisti e delle differenti impostazioni delle loro narrazioni.
  Nel Vangelo di Marco, il primo ad essere stato scritto e quindi il più vicino nel tempo alla vicenda raccontata, si pone l'accento, con dovizia di particolari, sul colloquio con Pilato per la restituzione del corpo di Gesù e specialmente sulle reazioni del governatore romano.
  Nel Vangelo di Matteo, invece, scritto dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C. e la relativa dispersione degli Ebrei nel mondo, si pone molto di più l'attenzione sull'aspetto economico, sulla sua figura e sul suo ruolo sociale, considerata la professione di pubblicano dell'Evangelista prima della conversione, ossia, in termini moderni, di agente delle tasse e che Matteo sembra essere molto attento a tramandare una certa versione della vicenda di Gesù che si potrebbe definire come popolare, cioè così come girava tra i fedeli della città perduta.
  Il Vangelo di Luca, pur essendo stato scritto più o meno negli stessi anni, risponde invece alle diverse esigenze dei nuovi fedeli convertiti di lingua greca e dei relativi più razionali criteri culturali, per cui l'Evangelista, secondo la tradizione un istruito medico, utilizza per i suoi libri (è autore anche degli Atti degli Apostoli) il metodo storico annalistico greco, che inserisce gli avvenimenti narrati nella cronologia generale e presta molta cura alle parole dei testimoni, cosicché si avverte nel suo stile di scrittura una volontà ben precisa di tratteggiare bene ai suoi lettori la figura del personaggio, del suo ruolo sociale e del suo operato, che lo avvicina per precisione dei particolari al Vangelo di Marco, pur essendoci alcuni decenni tra i due testi.
  Nel Vangelo di Giovanni, infine, l'ultimo ad essere stato scritto, verso la fine del primo secolo d.C., e la cui impostazione, come si sa, risente dei rapporti ormai freddi tra cristiani e ebrei, la figura del nostro protagonista viene descritta con pochi particolari e che sottolineano la sua diversità dai propri contemporanei, anche perché nel brano a lui dedicato si trova a dividere la scena con il personaggio di Nicodemo.
  Se quanto scritto finora costituisce il contesto in cui si collocano i brani da esaminare, si può ora passare ad analizzarli uno per uno, cominciando da quello tratto da Marco, che sembra essere il più interessante. Si comincia dunque con quanto così riportato nel capitolo 15, versetti 42-46:
Caravaggio

42Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato,43Giuseppe d'Arimatéa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. 44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. 45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. 46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro. 

  Ad una prima lettura del brano, due sono le caratteristiche che balzano immediatamente agli occhi: il tratteggio forte della personalità di Giuseppe e il colloquio con Pilato che costituisce l'asse portante del testo. Per quanto riguarda la personalità, la descrizione avviene attraverso la definizione del suo ruolo sociale e il modo di interpretare tale ruolo. Giuseppe appartiene dunque al Sinedrio, essendone anche "membro autorevole", ossia uno dei riconosciuti capi corrente, Sinedrio che, come si legge nella omonima voce enciclopedica, era il [...] Tribunale supremo degli Ebrei, formato da 70 membri, che assistevano il sommo sacerdote. Essi appartenevano a tre categorie: i sommi sacerdoti che già avevano esercitato l'incarico e ne erano stati deposti e i membri delle loro famiglie; gli anziani o aristocrazia laica, formata da principi sadducei; gli scribi o dottori della legge, per lo più laici di principi farisei. Benché gli scribi fossero entrati per ultimi e numericamente in minoranza, le loro decisioni finirono per avere il sopravvento, data la loro competenza giuridica.[...]

  C'è da dire, per verità storica, che il Sinedrio si trovava ad affrontare in quei tempi una situazione politica e sociale difficilissima, con il popolo che mal sopportava il dominio romano fatto di tributi, vessazioni e prepotenze di soldati e pubblicani e che simpatizzava per le bande di Zeloti, partigiani o terroristi a seconda dei punti di vista, desiderando, allora più che mai, la venuta di quel Messia che avrebbe ripristinato, secondo le Scritture, il regno di Israele e che era annunciato da una schiera di predicatori e profeti veri o falsi, compreso Giovanni il Battista, a cui si aggiungeva ora Gesù, che con i Suoi miracoli e i Suoi gesti e discorsi rivoluzionari non contribuiva certo a placare gli animi.
  All'interno di quell’assemblea però, con compiti giudiziari, certo, ma anche in qualche modo inevitabilmente politici e di rappresentanza presso il potere romano, Giuseppe probabilmente rappresentava la sua città in qualità di esperto giuridico ed era a capo di una corrente di minoranza più moderata e prudente rispetto alla predicazione di Gesù e all'atteggiamento da tenere verso di essa, in confronto a quello repressivo e di totale chiusura dei suoi colleghi, per lo stato di agitazione che concorreva a suscitare a Gerusalemme. Si può dire anzi che la sua posizione personale fosse decisamente aperta e favorevole, tanto da far dire all'Evangelista che "aspettava anche lui il regno di Dio", ossia un modo prudente e sfumato per dire che si era avvicinato al gruppo dei cristiani (si tenga anche conto che nei primi decenni del Cristianesimo il secondo ritorno di Gesù era considerato imminente e quindi facilmente accomunabile o confondibile con la generale attesa del Messia da parte del popolo ebraico), un'affermazione che nel Vangelo di Matteo, qualche decennio dopo, diventa molto più netta, potendo tranquillamente sostenere che Giuseppe fosse diventato un discepolo di Gesù.
  Per quanto riguarda invece il colloquio con Pilato, che costituisce forse la parte narrativamente più interessante del brano, il nostro protagonista compie un gesto coraggioso, secondo il testo di Marco, sia perché non era assolutamente normale che il corpo di un condannato a morte per crocifissione fosse richiesto per la sepoltura, sia perché a richiederlo fosse una persona appartenente a quella stessa autorità che ne aveva richiesto la condanna, ma bisogna considerare che si trattava comunque di un rischio calcolato, vista l'autorevolezza riconosciuta di cui godeva il richiedente, evidentemente anche presso Pilato.
  Lo stesso colloquio, descritto con molti particolari, un sintomo di informazioni di prima mano ricevute da chi era presente, risulta essere particolarmente interessante soprattutto perché ci riporta le reazioni emotive del governatore rispetto alla sorte di quel prigioniero fuori dal comune, quali lo stupore nell'apprendere che fosse già morto e l'ansia e il sospetto che ne conseguono e che lo portano ad informarsi dal centurione per sapere se ciò corrisponda al vero.  Dopo il colloquio, il racconto prosegue con Giuseppe che prende possesso con l'autorizzazione di Pilato del corpo di Gesù, lo avvolge in quel lenzuolo acquistato proprio da lui, che sarebbe successivamente diventato la Sacra Sindone, per poi seppellirlo in un sepolcro scavato nella roccia e chiuso da un masso rotolato contro l'uscita, detto in modo molto generico, come se fosse abituale all'epoca utilizzare anche caverne naturali per sepolture di emergenza, come quella di Gesù nell'imminenza del riposo del sabato.
  Il Vangelo di Luca, invece, riporta l'episodio nel capitolo 23, versetti 50-54:

50C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta.51Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatéa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. 52Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. 53Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. 54Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato.

  Come si vede, il personaggio di Giuseppe è molto meglio caratterizzato dal punto di vista personale e del comportamento. Viene confermata la sua posizione sociale di componente del Sinedrio, anche se manca l'aggettivo "autorevole" a definirne l'importanza all'interno di quell'assemblea, forse a causa del passaggio degli anni e della fragilità della memoria dei testimoni, nonché della diversità culturale dello scrittore, ma in compenso si aggiunge la definizione del carattere con gli aggettivi "buona" e "giusta" riferiti alla sua persona e quella del comportamento con cui si conferma indirettamente la sua collocazione nella corrente di minoranza del Sinedrio, giacché si specifica che non aveva condiviso la posizione contraria verso Gesù e la decisione di condanna nei Suoi confronti della maggioranza. La " scheda" sul personaggio di Giuseppe viene completata con la sua provenienza geografica dalla città di Arimatea e con l'attestazione della comune condivisione dell'attesa del Regno di Dio, che come si è visto, si può interpretare come un avvicinamento al gruppo dei primi discepoli del Nazareno, come l'Evangelista-storico di cultura a greca doveva aver sentito dai suoi testimoni apostolici, compresa Maria. Il brano si conclude poi con la breve consueta narrazione della sepoltura attraverso l'autorizzazione richiesta a Pilato, la deposizione dalla Croce, l'avvolgimento del corpo nel lenzuolo e la chiusura nel sepolcro scavato nella roccia, con la precisazione che in quel sepolcro nessuno era stato già sepolto e che era già arrivata la vigilia del sabato, intendendo così che quella era una sepoltura provvisoria, per cui si usavano appunto le tombe nella roccia, magari riutilizzandole più volte, in una situazione di emergenza.
  Come si è già osservato in precedenza, pur essendo stato scritto più o meno negli stessi anni, il Vangelo di Matteo si pone nei confronti di quello di Luca come l'altra faccia di una medaglia. Tanto più, cioè, il Vangelo di Luca vuole essere dichiaratamente accurato nella ricostruzione storica e nella scelta dei testimoni, quanto più quello di Matteo sembra trasmetterci una versione popolare della storia di Gesù e dei Suoi miracoli e parole, così come circolava tra i fedeli di Gerusalemme, molti dei quali testimoni oculari di quella vicenda, fedeli che, tra l'altro, erano stati appena costretti alla diaspora, alla dispersione nel mondo dopo la caduta di Gerusalemme e quindi tendevano ad accentuare anche il carattere ebraico di quella storia, come di tutto il loro vissuto collettivo.
  A tutto ciò non è estraneo però anche la figura stessa dell'evangelista Matteo, che da pubblicano, da agente delle tasse, è molto attento all'aspetto economico di ciò che racconta e per mestiere è a contatto con le persone e le loro chiacchiere, cosicché nell'episodio qui analizzato e così riportato nel capitolo 27, versetti 57- 60,

57Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatéa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. 58Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. 59Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo 60e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.
tintoretto
  Giuseppe viene caratterizzato solo dalla sua provenienza geografica della città di Arimatea e dalla sua ricchezza, perdendo così la sua carica di membro del Sinedrio, ma in compenso acquisendo la certezza di essere diventato un discepolo cristiano a tutti gli effetti. La perdita del ruolo sociale, dovuta alle distorsioni della memoria collettiva, ma anche all'estraneità di Giuseppe all'ambiente del narratore evangelico, viene sottolineata dai due verbi che caratterizzano la sua entrata e uscita nel brano che lo riguarda, ossia "giunse" e "se ne andò", cosicché l'impressione che se ne ricava è quasi quella che sia una sorta di impresario di pompe funebri venuto solo per eseguire un funerale, senza coinvolgimento personale. Ciò che, almeno in parte, però rettifica tale deduzione è leggere poi come la tomba scavata nella roccia, in cui viene sepolto Gesù, non è altro che la propria tomba nuova di proprietà, considerata normale per un uomo ricco come Giuseppe, quasi un simbolo della propria condizione (comunque non un grande sacrificio per lui: tanto - mi si perdoni la battuta - sapeva che sarebbe stato un affitto molto breve... solo tre giorni!).
  L'ultima annotazione che si ricava dal resto del brano, che prosegue con la consueta sequenza di richiesta di autorizzazione a Pilato, deposizione dalla Croce e sepoltura con avvolgimento nel lenzuolo e conseguente chiusura con pesante masso, è l'aggettivo "candido" con cui si qualifica il lenzuolo, lo stesso usato, se non andiamo errati, nel corrispondente passo sulla Trasfigurazione (si ricordi anche che attribuire aggettivi o sostantivi di significato superiore a cose e azioni del protagonista è tipico della letteratura popolare, come ad esempio "il fulvo destriero del cavaliere", in cui fulvo è più che un rosso e destriero è più che un cavallo, un cavallo da guerra), per cui il biancore luminoso di quel lenzuolo diventa un'anticipazione della futura Resurrezione.
  Per quanto riguarda, infine, il Vangelo di Giovanni, scritto, come si sa, intorno al 90 d.C., si parla di Giuseppe nel capitolo 19, versetti 38-42, che si riportano qui di seguito con il taglio della sequenza che si occupa più strettamente di Nicodemo (versetti 39-40):

38Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatéa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù.
[....] 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. 42Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.

  Come si è già accennato all'inizio, il nostro protagonista deve dividere la scena del racconto della sepoltura con Nicodemo (una circostanza, però, molto significativa, che indica soprattutto l'estrema familiarità e comunanza di idee e azione tra i due personaggi, che si trovano ad agire insieme nella medesima circostanza per uno stesso scopo), per cui la personalità e il ruolo di Giuseppe vengono descritte con poche parole che indicano solo la sua provenienza da Arimatea, la sua definizione di discepolo di Gesù, corretta però con la frase "ma di nascosto per timore dei Giudei", una frase che lascia facilmente intuire l'incompatibilità tra questa condizione e il suo ruolo sociale presso gli stessi Giudei (tanto da far ritenere quantomeno verosimile la sua ipotizzata appartenenza alla corrente di minoranza del Sinedrio) e il suo ruolo di intermediario con Pilato per la restituzione del corpo di Gesù. Segue, come al solito, la sepoltura e la chiusura nel sepolcro, che qui però, ancora una volta diversamente dagli altri Vangeli, non è scavato nella roccia e chiuso con un masso, ma si colloca in un giardino e viene scelto per la nuova costruzione e soprattutto per la vicinanza al luogo della Crocifissione, visto che si doveva fare in fretta per l'arrivo del tramonto festivo.
  Si può concludere dunque questa indagine sui riscontri evangelici al personaggio di Giuseppe di Arimatea, affermando che esso viene maggiormente delineato nei Vangeli di Marco e Luca, che ce lo tramandano come una personalità insolitamente attuale nel suo contrasto tra carattere e convinzioni personali e il proprio ruolo sociale e politico, nonché nel suo essere stato praticamente un ponte tra la crisi dell'ebraismo dall'epoca e il nascente Cristianesimo, avendo coraggiosamente impedito, attraverso la sua mediazione con il potere romano di Pilato, che il corpo di Gesù finisse in una fossa comune e con le gambe spezzate come si fa notare in uno dei Vangeli, dunque anche un conservatore, un ruolo, questo, che, a pensarci bene, svolge pure in tutta la tradizione letteraria occidentale, dai poemi cavallereschi al Codice da Vinci di Dan Brown, avendo raccolto, secondo tale tradizione, in un contenitore poi denominato "Santo Graal", il sangue di Gesù nell'ultima Cena o sotto la Croce. Ma forse il Santo Graal non è mai veramente esistito, essendo quel contenitore, semplicemente, ciò in cui quel sangue scorreva naturalmente, ossia, appunto, il corpo stesso di Gesù, conservato intatto fino alla Resurrezione.

[1] Antonella Iannucci, che collabora al nostro blog scrivendo racconti, tiene sul periodico “IMMI” (http://ospiti.peacelink.it/parrocchia/i/3006.html) una rubrica dal il titolo l’Angolo di Perpetua. In occasione della Pasqua ne ospitiamo qui una puntata.

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