Questo sito utilizza i cookies per migliorare l'esperienza utente. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo.

 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

GIÙ PER LA CHINA

ALTAN BUONA SCUOLADalla formazione "disinteressata" al livellamento verso il basso. Il cammino dela scuola italiana va trasformando gli insegnanti da "Maestri di vita" a funzionari della "ragione strumentale". È il trionfo dell' "homo oeconomicus".

di ROBERTO LEOMBRONI

ROBERTODomanda rituale. Forse banale. “Dove va la scuola italiana?”. Pur essendone uscito da quasi un anno, continuo ad essere interessato alle sue sorti. E a quelle delle nuove generazioni. Parliamo del futuro della più veneranda delle istituzioni prodotte dalla cultura dei popoli in ogni angolo del mondo. Ma anche del suo presente. E del suo recentissimo passato. Presidi divenuti “dirigenti”. Genitori e alunni trasformati in “utenti”. Sempre più ore sottratte alle materie scolastiche in favore dell’“alternanza scuola-lavoro”. Sono solo alcune delle modifiche apportate negli ultimi decenni. Con una decisa impennata da quando è entrata a regime la “buona scuola”. Quali le conseguenze? È presto per dirlo. La scuola non produce “pezzi”. La qualità del suo servizio, dunque, potrà essere valutata solo a distanza di anni. Alcune linee di tendenza appaiono tuttavia abbastanza chiare. Soprattutto per chi nella scuola opera o ha operato da molto tempo ed è in grado di effettuare confronti con il passato.

Una lunga e vetusta tradizione di pensiero ha sempre privilegiato il valore “formativo” ed “educativo” della scuola. In particolare di quella “dell’obbligo” e dell’istruzione liceale. Con la significativa eccezione delle scuole tecniche e professionali. Su questa linea di pensiero si sono ritrovati intellettuali e pedagogisti di varia e diversa formazione politica e culturale. Dall’idealista Giovanni Gentile al marxista Antonio Gramsci. Anche se quest’ultimo non escludeva, nell’ambito dell’istruzione generale, un approccio alle tematiche del lavoro. Ciò che li accomunava era comunque il modello di una formazione “disinteressata”, che prescindeva da qualsiasi “utilità” immediata dei contenuti appresi.

La base della suddetta concezione degli studi può facilmente essere rintracciata in un’antichissima tradizione di pensiero che risale alla filosofia greca. Al discepolo andavano trasmessi i tre valori fondamentali prodotti dal pensiero umano: il “vero”, il “bene”, il “bello”. Quelli che successivamente la filosofia medioevale definirà “trascendentali”, attribuendoli alla divinità. Mancava, come si vede, qualsiasi riferimento all’ “utile”. Una categoria che veniva riservata a un ambito completamente diverso da quello della formazione scolastica. Affidata direttamente alle varie forme di addestramento professionale.

Di qui un’impostazione degli studi e dei programmi di netto stampo “umanistico”. Laddove il termine non va inteso in contrapposizione alla cultura “scientifica”. Ma caso mai a qualsiasi irruzione di un sapere meramente “tecnico-professionale”. In una scuola siffatta il docente non si presentava dunque come un “istruttore”. Né tanto meno come semplice “trasmettitore” di informazioni “utili”. Ma piuttosto come “maestro di vita”. Che aveva il compito di stimolare l’allievo a porsi interrogativi sui suddetti valori. Attraverso l’indagine filosofico-scientifica; lo studio della storia e delle varie forme di organizzazione sociale; la conoscenza delle grandi opere della letteratura e dell’arte di tutti i tempi. Erano queste le solide basi che permettevano al ragazzo di costruire progressivamente la propria visione del mondo. A elaborare la propria concezione del “vero”, del “bene”, del “bello”.

A tutto ciò si accompagnava un particolare rigore nella disciplina scolastica. Gramsci, in particolare, nei suoi scritti, non trascurava mai di sottolineare il carattere di “sacrificio” che uno studio intenso e rigoroso comportava. Anche se esso non assumeva mai valore per sé, ma sempre in stretta relazione con la motivazione all’apprendimento. Di qui anche il “rispetto” di cui godeva la persona del docente. A cui si riconosceva, per la sua professionalità, il pieno diritto di disporre dello svolgimento dei programmi e dei criteri di verifica e valutazione dei risultati conseguiti dagli alunni.

Ovviamente non mancavano vistose lacune in tale sistema formativo. A partire dal carattere èlitario della formazione liceale. Esplicitamente sancito dalla Riforma Gentile del 1923. Solo in parte attenuato da alcune riforme del dopoguerra. E contro cui si indirizzarono prevalentemente gli strali della contestazione sessantottina. Con inevitabili conseguenze non sempre di segno positivo. Laddove la giusta ribellione contro gli eccessi di autoritarismo e classismo presenti nella scuola e nell’università andò di pari passo con proposte demagogiche (discussione del voto, esami di gruppo…) che portarono allo snaturamento della funzione stessa dell’istituzione scolastica e alla mortificazione del ruolo docente.

Poteva essere l’occasione per sottrarre alla discriminazione di classe una scuola seria e rigorosa. Che innalzasse il livello culturale dell’intero Paese. Ne è venuto fuori, al contrario, un penoso livellamento verso il basso. Con la cancellazione di fatto dei contenuti più complessi e di ogni forma di gratificazione del merito. Rendendo di fatto inutile e svalutato il titolo di studio. A tutto vantaggio di chi poteva praticare ben altre strade per accedere ai ruoli più elevati nella società.

Il fenomeno si è accentuato negli ultimi decenni. Quelli del capitalismo “ruggente”. In cui il modello antropologico dell’homo oeconomicus si è prepotentemente imposto su tutti gli altri. Di qui il trionfo del “pensiero calcolante” e della “ragione strumentale”. Ovvero di quella ragione che non si pone più domande “di senso”, ma che si accontenta semplicemente di adeguare i mezzi ai fini. A prescindere dalla bontà o meno di questi ultimi. La “buona scuola” aderisce perfettamente ai nuovi canoni. In essa il criterio dell’ “utile” (declinato in chiari termini aziendalistici) tende a surclassare la ricerca del vero, del bene e del bello. Le conseguenze del “nuovo corso” si riflettono pesantemente sul comportamento di studenti e genitori. Con il prevalere di uno squallido machiavellismo deteriore. In base al quale il “successo” è il moloch a cui vanno sacrificati tutti i principi etici. A cominciare dall’obiettività delle valutazioni. La minaccia del ricorso e della denuncia si rivelano sempre più efficaci nel fiaccare lo spirito anche dei docenti più tenaci. Quelli che vorrebbero conservare almeno un simulacro della defunta “serietà” degli studi. Il futuro che si prospetta appare sempre più inquietante. Il cittadino consapevole cede sempre più il passo al consumatore specializzato e privo di cultura generale. L’ideale al fine di perpetuare quel modello economico-sociale di cui i drammatici eventi contemporanei evidenziano invece sempre più l’insostenibilità.

 

Per inserire un commento devi effettuare il l'accesso. Clicca sulla voce di menu LOGIN per inserire le tue credenziali oppure per Registrati al sito e creare un account.

© A PASSO D'UOMO - All Rights Reserved.