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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

IL BOOM DELL'IPOCRISIA

ROBERTOIl miracolo economico degli anni Sessanta e le sue contraddizioni visti in film sui quali scorrono gallerie di personaggi con il loro repertorio di vizi pubblici e privati, che l’aria perbenista non riesce a nascondere.

Specchio fedele del mutamento socio-economico, etico e antropologico dell’Italia del boom, il film di Zampa Il vigile (1061), premiato da un grande successo di pubblico, si ispira a un fatto di cronaca, il “caso Melone”, ovvero all’episodio di un vigile urbano intenzionato a multare per infrazione stradale il questore di Roma, Marzano, nonostante ogni pressione per farlo desistere. Ciò aveva consentito a Melone di assurgere, nell’opinione pubblica di Sinistra, al ruolo di una sorta di FIRMA LEOMBRONIvendicatore del popolo, finché il settimanale di Destra Lo specchio, nel 1959, non aveva rivelato che sua sorella faceva la prostituta a Milano. Il film di Zampa costituisce un efficace messaggio satirico nei confronti del malcostume politico dei primi anni Sessanta, basato sul principio che la legge non è uguale per tutti. Nessuno si salva nella galleria dei personaggi del film. Se Otello è il simbolo dell’italiano medio, qualunquista, poco amante della fatica, e alla ricerca dell’agognato posto sicuro, piuttosto che del lavoro, i frequentatori del bar non mostrano una dignità superiore, dal momento che perdono il proprio spirito beffardo, e si mostrano ossequiosi, davanti a una divisa, o ammirati di fronte alla fama acquisita dal vigile in televisione, nuovo feticcio di quegli anni. Ancora peggiori si rivelano i “potenti”: a partire dal sindaco, uomo arrogante, spregiudicato e ipocrita, che nasconde la propria condizione di adultero dietro la falsa e oleografica immagine del buon padre di famiglia. Accanto a lui, i notabili, che tentano invano di corrompere il vigile per farlo recedere dalla sua intransigenza. Altrettanto squallidi risultano i metodi impiegati per ricattare Otello, non ultima l’accusa lanciata a sua moglie, rea di essere separata dal suo primo marito, in un paese che, nel 1960, è ancora ben lontano dal riconoscere il divorzio. Particolarmente efficaci risultano inoltre nel film gli scorci di vita reale che esso presenta in omaggio ai canoni neorealisti. Tra essi, la scena del tipico locale di paese, in cui la gente si affolla davanti a uno dei pochi apparecchi televisivi (la televisione non è ancora diventata un bene di consumo di massa) per assistere a Il Musichiere, uno dei più popolari programmi di quegli anni, diretto dal celebre presentatore Mario Riva. Quella descritta da Zampa è l’Italia che sta conoscendo un impetuoso sviluppo della motorizzazione privata, in cui il possesso di un’automobile non è più fenomeno d’élite ma si è ormai esteso ad ampie fasce del ceto medio. Lo sviluppo economico non riesce tuttavia a occultare il volto di un paese ancora intimamente provinciale, nel quale lo stesso miracolo economico contribuisce a diffondere corruzione e servilismo; ma soprattutto non riesce a cambiare il volto di sempre dell’italiano medio (ben rappresentato da Sordi). Dato il suo contenuto di denuncia, è ovvio che anche Il vigile non si sottragga alla censura. Tra le sequenze incriminate del film (anche se successivamente reintegrate) c’è quella, ritenuta offensiva per la morale sessuale, dell’apparizione di Luisa, l’amante del sindaco, distesa sul letto in abiti succinti.
I MOSTRII personaggi de La dolce vita e Il vigile, come anche quello de Il sorpasso (1962) di Dino Risi, già appaiono con la “maschera” grottesca dell’italiano medio, magistralmente delineata dai maggiori capolavori della commedia all’italiana, ma risultano ancora calati all’interno di un contesto in grado di distinguere il bene dal male, l’onestà dalla corruzione. Con I mostri, realizzato ancora da Dino Risi nel 1963, sembra che anche quest’ultima barriera sia destinata a cadere, e i personaggi vengono definiti esplicitamente con il loro appellativo (“mostri”, appunto). Contemporaneamente, la stessa indignazione contro gli eccessi del consumismo tende a cedere il passo a una mera constatazione del suo trionfo e degli effetti devastanti da esso esercitati sul tessuto antropologico italiano dei primi anni Sessanta. Lanciando la moda dei film a episodi, I mostri opera un vero e proprio salto di qualità nell’accentuare gli aspetti negativi del carattere italiano, sottolineando, in particolare, l’ormai accettata normalità di comportamenti “mostruosi”. Il film, nel quale le parti principali sono rivestite da vere e proprie caricature, efficacemente interpretate da Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, è articolato su venti episodi diversi, i cui temi più ricorrenti sono l’infedeltà coniugale e la corruzione politica, inseriti nel contesto spazio-temporale della Roma dei primi anni del decennio. Esso mette a nudo, con straordinaria ironia, un panorama grottesco dei vizi italici, prodotti dal miracolo economico nel contesto di un radicale mutamento di valori etici e modelli di comportamento, raffigurando un quadro in cui trionfano cattiveria e cinismo, all’interno delle varie sfaccettature della vita associata: dalla famiglia alla giustizia, dal sesso alla religione. I personaggi sono per lo più ritratti con aspetti deformi e disgustosi, al fine di rimarcare la loro endemica incapacità di vivere in maniera onesta e leale, nel rispetto delle regole comuni. Nessuno è indenne dalla mostruosità: di fronte ad essa spariscono differenze di classe, di cultura, di genere.
L’arco delle problematiche affrontato nei diversi episodi è vastissimo: in L’educazione sentimentale un padre “educa” il figlio alla più totale disonestà e al disprezzo del prossimo, pagandone le conseguenze dopo qualche anno, quando sarà rapinato e assassinato dal figlio stesso. In La giornata dell’onorevole, la disinvoltura con la quale un politico democristiano ignora con flemmatica protervia un generale desideroso di rivelargli uno scandalo di enormi proporzioni, funge da pretesto per una feroce critica nei confronti del sistema politico e dell’intera istituzione parlamentare- In Scenda l’oblio, prevale il cinismo di un marito benestante che, di fronte a un film che rievoca i massacri nazisti, prende spunto da un’immagine per parlare con la moglie della propria villa. In Il sacrificato, domina l’ipocrisia di un uomo che abbandona la sua amante per un’altra, persuadendola che lo sta facendo per il suo (di lei) bene. In L’oppio dei popoli, è messo in risalto, in termini quasi surreali, il grado di istupidimento a cui la televisione riduce un uomo che si isola completamente guardando il suo sceneggiato preferito, mentre la moglie se la spassa con il proprio amante. In Che vitaccia, il “narcotico” è invece costituito dall’esasperato tifo da stadio, che fa dimenticare le sue angosce a un baraccato morto di fame. La metamorfosi subita dall’italiano in automobile, portato a calpestare quei diritti (come l’attraversamento sulle strisce pedonali) di cui chiede il rispetto da pedone, è invece ben messa in luce in La strada è di tutti. Strali pesanti, infine, colpiscono l’ipocrisia dominante nel mondo del teatro (La raccomandazione), in quello degli affetti famigliari (Il povero soldato), in quello ecclesiastico (Il testamento di Francesco).

(2.fine)

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