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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

IL VAMPIRO E LA MELANCONIA

VAMPIROIl vampiro e la melanconia. Miti, storie, immaginazioni, di Vito Teti, Donzelli, 2018, pp. 378, € 34. Recensione.

Si può leggere con piacere un libro che, stando al titolo, dovrebbe immediatamente instillarci angoscia e tremore? Può accadere, ed accade con questo intenso libro dell’antropologo Vito Teti che ci accompagna attraverso secoli e culture suscitando un doppio piacere. Quello, diciamo così, estetico, perché il libro (per quanto di grande erudizione e ineccepibile rigore) è scritto con la fluidità colta di chi frequenta tanto le stanze dei libri quanto i vicoli, le piazze, le case della vita quotidiana di paese, che sta fuori dai libri e nella quale solo autori sapienti sanno farci entrare. L’altro godimento è quello dell’intelletto, perché il testo ci pone argomenti di conoscenza e riflessione da angolazioni insieme seducenti e profonde. E lo fa esplorando argomenti sui quali si tende oggi a mettere la sordina (o ad enfatizzare, il che è lo stesso).

La modernità tenta in tutti i modi di espellere la morte dall’orizzonte della vita, di far scomparire i defunti, di estirpare ogni possibilità di loro contatto e comunicazione con i vivi. Desertifica, così, un giacimento culturale di riti attraverso i quali i morti continuavano a far parte della comunità dei viventi.
Ma la modernità ha fatto anche di più: ha reso morti paesi e territori dell’entroterra, comunità intere. Si è inviluppata nella contraddizione stridente di voler esorcizzare a tutti i costi la morte, ma di praticarla in realtà su scala sociale, condannando all’abbandono e alla scomparsa vite comunitarie.
Ma i morti continuano a bussare alla porta dei vivi, come accade nel racconto di un sogno con il quale Teti apre questo volume. Solo che essi, senza i riti di mediazione presenti in altre culture, ci mostrano un rapporto irrisolto con l’idea della morte e generano paura. Una paura che c’era, da altre prospettive, anche nelle culture tradizionali che, però, avevano elaborato strategie di difesa.  Nella modernità una tale paura può assumere manifestazioni varie, tra le quali la trasfigurazione nell’immagine del vampiro. Che ha origini rinvenibili, ci illustra Teti in un viaggio che parte dal Settecento (epoca di grandi mutamenti e di forte messa in discussione di culture consolidatesi nei secoli) ed approda ai giorni nostri, nei quali il paradosso si conferma: «Il contagio vampirico non è dilagato nelle culture e nelle società dove i defunti potevano tornare, in maniera irrelata o controllata, continuando a turbare, disturbare, amare i familiari rimasti, ma al contrario si afferma proprio quando la modernità (come sottolineano Foucault e Baudrillard) si impegna nel progetto di espellere, rinchiudere, esorcizzare l’alterità, la malattia, la follia, la morte». Un viaggio che, scorrendo saldamente sui binari dell’antropologia, attraversa anche i territori della psicanalisi, della letteratura, del cinema e della musica. Con incursioni nei campi della pittura, dei fumetti, della fantascienza.

Un viaggio che ci racconta di una figura che -lo ricorda anche il titolo del libro- procede sempre intrecciata con la melanconia: «Il vampiro è mutevole, cangiante, errante, ambiguo» e, per quanto volessimo precisarne i caratteri, rimarrebbe «inafferrabile. Ma c’è sempre un carattere, un sentimento, un modo di essere di cui il vampiro appare sempre e comunque prigioniero. Dovunque si trasferisca, dovunque si nasconda, egli si presenta sempre con un’insopprimibile melanconia. Il vampiro è una delle costruzioni melanconiche più significative della modernità». Torna, così, uno dei temi da sempre cari alla ricerca di Teti, la melanconia, di cui abbiamo letto pagine illuminanti, ad esempio, in Quel che resta (Donzelli, 2017).

Un sentimento che ha le sue ambiguità, ma che può fornire una carica positiva e di rinnovamento. A condizione che si sappia avere un rapporto autentico (ancorché sofferto e problematico) con il passato, che si sappia far pace con i morti («Non ho paura dei morti, perché mi parlano e ci parlo») e si sappia essere davvero, tutti i giorni, nelle piccole e nelle grandi scelte, per la vita: «Fino a quando non saremo contro la morte e contro la guerra, i vampiri torneranno a ricordarci i nostri silenzi, il nostro delirio di onnipotenza, la nostra paura della morte, la nostra incapacità di vivere»

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