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LO SGUARDO, LO STUPORE, IL GENIO

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SPALLETTI4Ricordo di Ettore Spalletti, il grande artista dalla sensibilità cosmopolita, innovatore, maestro irrequieto e di serena curiosità. Famoso nel mondo, volle restare ad operare nella sua terra.


di MASSIMO PALLADINI

 

Nella serata di venerdì 11 ottobre è mancato, nella sua casa di Spoltore, Ettore Spalletti, un grande pittore italiano. Le sue opere sono nei musei e nelle principali collezioni del mondo ad attestare il suo valore, la sua personalissima declinazione dell’arte concettuale. Tra tutte le partecipazioni a rassegne e mostre personali citerò soltanto quella allestita nel 2014 in maniera coordinata dal MAXXI a Roma,dalla GAM a Torino e dal Museo Madre a Napoli che forniva la più completa presentazione retrospettiva della sua opera come mai era stato approntato per altri autori. Un artista grande e riconosciuto, quindi; del quale tratteggiano il profilo i giornali nazionali all’indomani della sua dipartita. Ma io voglio parlare del suo stupore che si rinnovava guardando il nostro paesaggio, di quello sguardo che aveva posto a fondamento della propria  arte, riscoprendolo  integro dopo le incursioni tra le espressioni  artistiche della sua formazione.
Perché Ettore ha espresso una sensibilità cosmopolita, ha saputo parlare in ogni lingua (penso alle sue realizzazioni site specific) ma prendendo le mosse dalla feconda stagione artistica che Pescara e questa parte del territorio adriatico hanno vissuto nei decenni centrali della seconda metà del Novecento,anche intorno alla scuola dove lui ha studiato e insegnato.
SPALLETTI2Quasi a sottolinearlo, la sorte ha voluto che nello stesso giorno morisse un personaggio molto diverso dal nostro, ma con il quale egli si incrociò in quegli anni: Cesare Manzo, volitivo e discusso gallerista pescarese, organizzatore di eventi che  da quella stagione  prese le mosse  per sviluppare  le rassegne di “Fuori Uso”(originale formula che ricercava gli edifici dismessi, scartati dalla città per esporvi il meglio del contemporaneo) in cui anche Spalletti fu ospitato.
Già Renato Minore, che ne condivise la gioventù abruzzese prima della  frequentazione in anni romani, lo ha ricordato giovane studente che veniva a Pescara da Cappelle nella scuola di Giuseppe Misticoni, quel Liceo Artistico inventato dal niente e che tanta cultura figurativa avrebbe prodotto  nel territorio adriatico; e ne ha ipotizzato la fascinazione per qualche luminosa pagina di Dante che la giovane insegnante( la madre di Renato) gli faceva scoprire.
Io ne ricordo l’irrequieta e serena curiosità, già insegnante e pittore, in lunghi incontri con noi giovani che tornavamo dalle facoltà di città lontane per parlare di tutto  e soprattutto dei fermenti nuovi, culturali e sociali, che si vivevano nel passaggio tra i sessanta e i settanta del secolo scorso. Con il comune amico e collega Paolo Di Pietro salivamo alla sua casa di paese dov’era la famiglia e dove lui lavorava o sedevamo sul muretto della Riviera pescarese, in serate fuori stagione. La città, lo spazio erano oggetto privilegiato dei nostri discorsi con poco metodo e molta buona volontà; l’urbanistica era veramente la chiave, come diceva il Maestro francese appena appena assimilato, per difendere l’incanto di quel paesaggio? Così la sua curiosità aiutava a falsificare i nuovi dogma, a sottoporli alla prova di una difesa affettiva dell’identità profonda dei luoghi che lui esprimeva.
In quel periodo ne scrissi sulla stampa locale, insieme a Di Blasio, Summa, Del Greco, i suoi colleghi che, con approcci diversi, si muovevano su linee innovative; c’ era ancora da mobilitarsi per affermarne il valore rispetto all’ asfittico panorama delle manifestazioni culturali, non si era ancora espresso il fiorire di gallerie, ritrovi di artisti, esperimenti di musica e teatro   che si sarebbero diffusi in città.
Ettore cominciava allora la  sperimentazione della sua tavolozza, la particolare tecnica di  stesure, abrasioni del colore per renderlo espressivo di materia illuminata. Guardava molto i classici, ricordo un volume su Beato Angelico aperto nello studio; ma si tornava a parlare dell’ambiente costruito, al suo cruccio per le dinamiche che lo guastavano ed a noi architetti ne faceva carico, quasi una sfida tra il disciplinare e il deontologico. Nel tempo questi concetti li espresse  sovente sia in conversazioni che negli scritti, accettando anche la sfida  di concepire un foglio di giornale sui temi del degrado urbano e sugli sparuti fenomeni del suo riscatto ; lui, così perfezionista per le esecuzione delle sue opere accondiscese ad una resa  giocoforza approssimativa della sua idea (come la poteva fornire la carta stampata)pur di affidarla ad una grande tiratura.
Era restato qui,nonostante il successo o forse come antidoto ad esso; la sua casa di Spoltore, una palazzina ‘900 al limitare del centro storico; il laboratorio ricavato in uno spazio produttivo sulla strada Lungo Tavo; i suoi ristoranti, i suoi amici; la Bella Addormentata.
L’ho rivisto il giorno della sua Laurea honoris causa in Architettura, nella facoltà di Pescara. Paolo Fusero ha avuto davvero una felice intuizione nel pensare a quel riconoscimento: un regalo che ha fatto all’Università e, forse non sapeva quanto, un regalo per Ettore. Mi disse quanto lo riscaldava che il tocco e la toga gli venissero dalla sua terra e come il pensiero gli fosse corso al padre, che lo avrebbe preferito dottore, agli esordi, e che in quel giorno accontentava. Aveva lo stesso sorriso di allora, appena abbozzato, dentro la commozione.
Gli abbiamo dato l’ultimo saluto nella cappella della clinica Villa Serena a Città Sant’Angelo, un altro dei centri collinari adriatici, come il suo, con lo stesso paesaggio; l’aveva progettata lui con la moglie Patrizia Leonelli, architetto: l’aula azzurra a croce, il piccolo corpo lineare tra gli alberi. Poi, tornando per la via degli oleandri che taglia quel pianoro sopraelevato, si vedeva sullo sfondo il cielo d’ottobre precipitare nel mare.

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