Basta beneficiare di qualche decina di clic su una piattaforma per proclamarsi detentori di ogni sapere e zittire scienziati, ricercatori, studiosi, portatori di esperienze di vita illuminanti? La derisione degli intellettuali ha sempre accompagnato il sorgere delle dittature.
«Questo lo dice lei!» è la frase che si sente ripetere sui mezzi di comunicazione per contrastare i ragionamenti di chi, al tema di cui si sta discutendo, ha dedicato anni, magari lustri, di studi, ricerche, confronti con la comunità scientifica, verifiche sul campo. A contrastare tali ragionamenti, con quella frase che vorrebbe sminuirli, è per lo più una persona che esprime una opinione formatasi sull’onda di un qualche disagio sociale o di gruppo, vero o costruito dai maestri della diffusione della paura e dell’incultura. Un disagio che viene abilmente indirizzato verso un falso nemico: il sapere. Falso nemico per chi prova il disagio, che avrebbe ben altri posti da individuare e combattere. Nemico vero, invece, per chi costruisce il potere sulla rabbia, la paura, il risentimento, il rancore. E che, per sviare l’attenzione da se stesso, organizza la contestazione delle “élite”. Soprattutto di quelle culturali, poiché quelle economiche possono sempre tornare utili. E, quindi, è meglio lasciare in pace.
In base a questo trionfante assalto dell’ignoranza al sapere oggi, fosse vivo, Einstein -sulla teoria della relatività- si troverebbe zittito dal deputato di Vattelappesca che fino a ieri era occupato a bighellonare qui e là e che una specie di sorteggio telematico ha sbalzato tra gli scranni di Montecitorio. In una parodia della democrazia, dal quale poi il nostro onorevole trarrà un’inconfutabile deduzione: egli può parlare di relatività quanto e più di Einstein, perché quest’ultimo non è stato eletto dal popolo. Il che, se ci si sottrae alle sbornie pseudo-populiste e ai connessi sragionamenti, fa tornare alla mente la considerazione che Ortega Y Gasset riservava ai suoi anni, ma che non ha perso validità nell’oggi: «Il fatto caratteristico del momento è che l’anima volgare ha l’audacia di affermare il diritto alla volgarità e lo impone dovunque»[1]. «Questo lo dice lei!», dunque, è la frase che l’ignoranza, avendo scalato il potere, suole rivolgere a chi si è costruito una sapienza sui libri, nella ricerca o nella crudezza di una vita materiale che gli ha fatto conoscere scenari che sfuggono ai più. Una frase che sigilla l’annullamento di ogni distanza nella scala del sapere; che annulla, anche, ogni ruolo socialmente utile che lo scienziato, l’uomo di cultura, l’anziano narratore, il sopravvivente dai naufragi in mare o dai disagi delle periferie possono svolgere a beneficio della comunità, mostrando il frutto delle loro ricerche e/o delle loro illuminanti esperienze di vita. Perché, di fronte all’eletto del popolo, l’epidemiologo non può parlare di vaccini e il baraccato non può spiegare come si vive nelle baracche: l’elezione consegna nelle mani dell’eletto il sapere universale. Se volessimo metterla sul filosofico, quella frase sigilla un cambiamento profondo, per così dire, del nostro rapporto con l’invisibile, con ciò che non possiamo conoscere con l’immediatezza dei sensi, con ciò che sta al di là delle impressioni transeunti e momentanee. Non viene più riconosciuta la funzione di indagare al di là delle mere apparenze. Si abbatte quello che Massimo Cacciari va analizzando come «il tema che è stato all’origine della storia delle élite nell’Occidente: l’idea di realtà riflessa che fin dalla caverna di Platone giustifica e rende necessaria l’esistenza di ogni classe dirigente, unica in grado di interpretare ciò che realmente è, distinguendolo da quel che semplicemente appare»[2]. Platone può, così, andare finalmente in pensione e l’Occidente conosce una nuova alba, nella quale una quarantina di clic nella roulette di una piattaforma digitale infondono in una persona tutto lo scibile umano. Se, invece, vogliamo guardare alla storia, non è difficile riscontrare come l’avvento di ogni dittatura sia stata preceduta ed accompagnata da un clima in cui l’ignoranza fa sfoggio di se stessa con orgogliosa baldanza e la cultura viene indicata come una degenerazione dell’umana vitalità. E in cui l’esperienza delle persone che affrontano le traversie dell’esistenza con la sapienza che viene dalla vita viene trasmutata nella retorica dell’umiltà o dell’eroismo. Il tracotante «Questo lo dice lei!», nella sua sostanza, non è dunque nuovo nella storia. E non ha portato bene. Proprio cento anni fa iniziò una fase della storia d’Italia in cui veniva isolata dal “popolo” la minoranza intellettuale dei De Gasperi, Spinelli, Ernesto Rossi, Croce, Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Gramsci. Giovanni Amendola, Pertini, Emilio Lussu, Carlo Levi e di altri ancora. Chi maltollerato, chi osteggiato, chi deriso, chi perseguitato, chi imprigionato, chi confinato, chi eliminato fisicamente. Ma quando si è trattato di ricostruire l'Italia dalle macerie provocate dal regime fascista è a loro (alle loro persone o al loro pensiero) che ci si è dovuti rivolgere. Sembra essere nel destino degli intellettuali (quelli veri, non quelli che stanno solo nei talk show) l'essere derisi mentre si manda il Paese all'aria e l'essere cercati quando si devono ricomporre i cocci. Sarebbe utile non aspettare che si producano nuovamente cocci. Anche perché, stavolta, a rimetterli insieme potrebbe essere un qualche algoritmo che potrebbe procedere con logiche poco umane.
[1]La ribellione delle masse, TEA, Milano, 1988, p. 40. Il libro fu pubblicato nel 1930.
[2] Paolo Griseri su Repubblica del 20 marzo 2019.