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IL MIRACOLO E IL MALCOSTUME

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ROBERTOBoom economico e corruzione, denuncia e ostracismo, religiosità e scomunica ne La dolce vita di Fellini. La decadenza dello spirito pubblico ne Il vigile di Luigi Zampa. Le contraddizioni del boom economico in due celebri film.

 

FIRMA LEOMBRONITra i risvolti negativi del “miracolo economico”, si registra anche un atteggiamento sempre più passivo degli italiani nei confronti del malcostume, del clientelismo, della diffusa pratica della raccomandazione, che emergono nei concreti comportamenti di gran parte della classe politica che li rappresenta. Espressione del malcostume dilagante è anche la diffusa pratica dell’esportazione dei capitali all’estero, in particolare in Svizzera. Le contraddizioni che caratterizzano il boom economico italiano trovano una efficace rappresentazione artistica in opere letterarie, tra le quali il celebre Viaggio in Italia (1957) di Guido Piovene, e soprattutto nella cinematografia italiana degli anni Sessanta.
Tra i capolavori cinematografici che meglio rispecchiano luci e ombre dell’Italia dei primi anni di quel decennio, spicca La dolce vita, diretto da Federico Fellini nel 1960. Il film si apre con un significativo incipit, in cui l’immagine religiosa di una grande statua del Cristo, che volteggia sul cielo di Roma, appesa a un elicottero, contrasta in maniera stridente con quella “pagana” dell’orgia che si sta contemporaneamente consumando in un night-club. Dopodiché, attraverso vari episodi, il film passa a descrivere la vita frenetica che si svolge attorno a Via Veneto, attraverso le vicende di Marcello (Marcello Mastroianni), un giornalista specializzato in servizi ANITA ECKBERGscandalistici, che ha rinunciato alle proprie ambizioni letterarie. Nel corso della sua frequentazione del salotto romano, il giornalista incontra uno scrittore suicida, una diva americana (la famosa attrice svedese Anita Ekberg), che nella scena più celebre di tutto il film fa il bagno nella Fontana di Trevi, e un gruppo di nobili che lo coinvolge in una festa notturna. Tali personaggi, pur emblematici di una società decrepita, sembrano comunque affascinare e ipnotizzare il giovane. Non mancano nel film scene di fanatismo collettivo, come quella legata a una presunta apparizione della Madonna: episodi piuttosto frequenti in quegli anni, fomentati dai rotocalchi per i gusti di un pubblico particolarmente assetato di scoop sensazionali. Alla fine, ritrovatosi solo, all’alba, sulla spiaggia, tra pescatori che trascinano un grosso animale marino dall’occhio spento, Marcello incontra una ragazzina dagli occhi innocenti. Ma l’invito che da lei proviene a una possibile salvezza non viene raccolto da lui, che torna a riunirsi agli altri. Il soggetto del film di Fellini, che costituisce uno dei grandi eventi di quell’anno, insieme alla rivolta contro il governo Tambroni e alle Olimpiadi di Roma, è in parte ispirato a episodi di cronaca nera. Ideato dal regista insieme allo scrittore Ennio Flaiano, esso è incentrato sulla fine di un’epoca, sul crollo dei valori e dei miti di una società sempre più corrotta e decadente, perfettamente rispecchiato nella vita dissoluta e orgiastica di ricchi fannulloni. Nel corso delle sue frivole giornate, infatti, il protagonista Marcello entra in contatto con numerosi personaggi emblematici di una società in putrefazione. Ma La dolce vita costituisce un prezioso documento anche e soprattutto per i numerosi ostracismi che produce negli ambienti conservatori e benpensanti, oltre che in una certa opinione pubblica di Sinistra, nostalgica del neorealismo, che si distacca dalla posizione ufficiale del PCI e del PSI, che ne FLAIANO FELLINI EKBERGesaltano, al contrario, il valore di denuncia. Sin dalla sua prima proiezione a Milano, dove viene subissato di fischi, a causa del suo carattere scioccante e provocatorio, il film scatena feroci reazioni, ravvisabili anche nei numerosi titoli che campeggiano su alcuni giornali e riviste: Basta!, Sconcia vita, Vita blasfema, La cattedra del vizio. Particolarmente aspre risultano, nonostante il clima conciliare che caratterizza in quegli anni la Chiesa giovannea, quelle fomentate dal quotidiano vaticano Osservatore Romano (che, in un commento anonimo, attribuito a Oscar Luigi Scalfaro, lo ribattezza La schifosa vita). A tale proposito, il filosofo gesuita Padre Angelo Arpa, studioso di cinema e amico di Fellini, ricorderà, nel 1966, come, in seguito agli articoli del giornale vaticano che stroncavano il film, esso venisse immediatamente vietato, pena la scomunica di quei cattolici che fossero andati a vederlo. In realtà il mondo cattolico non è unanime nella condanna del film: lo stesso Arpa, in sintonia con i gesuiti di Civiltà cattolica e con L’Espresso, difende un’interpretazione diffusa, secondo la quale esso avrebbe testimoniato efficacemente non il crollo della religiosità, ma della sua facciata ben pensante. Scandaloso, dunque, non era il film, bensì il mondo che esso denunciava. Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino, che lo definiscono un film “cattolico”. Alle reazioni negative del Vaticano si sommano quelle di alcuni partiti politici (MSI e DC) e di una cospicua fetta della nobiltà. Lo stesso Fellini ricorderà come lui e Mastroianni si siano salvati a stento da un vero e proprio linciaggio, e abbiano incassato una cospicua dose di sputi e insulti. Il 17 febbraio del 1960, tre deputati democristiani, Quintieri, Pennacchini e Negroni, presentano alla Camera un’interrogazione, alla quale il governo riconosce addirittura l’urgenza. Ancora più intensa è l’attività censoria dei neofascisti. Qualcuno arriva anche a chiedere il rogo del film e il ritiro del passaporto al regista. Ciononostante, La dolce vita appare tra i primi quattro titoli della classifica degli incassi nel 1960, ed è uno dei film italiani che ottiene maggiore successo all’estero. Esso ha ALBERTO SORDI VIGILEcontribuito, tra l’altro, alla diffusione di neologismi come “paparazzo”, il termine (ripreso dal cognome di uno dei personaggi del film) con cui da allora verranno definiti i fotografi addetti alle riprese di celebrità, anche nelle loro vicende private, e che vendono poi a caro prezzo le foto più compromettenti.

La decadenza dello spirito pubblico, e il dilagare della nefasta pratica della raccomandazione, sono invece al centro di uno dei migliori prodotti della commedia all’italiana: Il vigile di Luigi Zampa (1961). Protagonista del film è Otello Celletti (Alberto Sordi), un disoccupato volontario, sfaticato per natura, continuamente dileggiato dagli avventori del bar del quartiere. Si dà però il caso che suo figlio salvi dall’annegamento in un fiume il figlio di un assessore. Ciò consente a Otello di chiedere raccomandazioni al consiglio comunale e allo stesso sindaco (Vittorio De Sica). Una volta assunto come vigile motociclista, la semplice divisa sembra provocare una decisa metamorfosi del personaggio, evidente nel rispetto che adesso gli portano coloro che prima lo sbeffeggiavano. Ma il nuovo vigile, appena preso servizio, combina, un disastro dopo l’altro. Tutto ciò non gli impedisce tuttavia di fare il cicisbeo con Sylva Koscina, famosa diva del cinema, la cui auto ha avuto un guasto per la strada e ha fretta di rientrare a Roma per partecipare alla popolare trasmissione televisiva Il Musichiere. Quando la sera, dagli schermi televisivi, la celebre attrice ringrazia il vigile, per l’aiuto che le ha prestato, esaltando, in particolare, la sua magnanimità nel chiudere un occhio sul fatto che lei viaggiasse sprovvista di documenti, il sindaco richiama bruscamente il vigile al proprio dovere. Otello lo prende alla lettera e, deciso d’ora in avanti a far rispettare sempre e comunque il regolamento, arriva a multare il sindaco stesso nel momento in cui questi, infrangendo i limiti di velocità, sta correndo dalla sua amante. Il fatto solleva, ovviamente, un clamoroso scandalo politico. Di fronte alla vendetta del primo cittadino, che indaga sulla vita privata del dipendente e incrimina con vari pretesti i suoi famigliari, Otello, pur di conservare il posto, è costretto a fare marcia indietro e a chiedere scusa al sindaco, venendo così reintegrato nell’impiego. Egli ha appreso la lezione: d’ora in poi dovrà essere severissimo con la gente normale e indulgente con i potenti. Ma nel finale, in seguito a un provvidenziale incidente, l’arrogante amministratore precipita in una scarpata e Otello non nasconde la sua soddisfazione.

(1.continua)

Foto:
Anita Ekberg nella Fontana di Trevi: risulta di pubblico dominio.
Enio Flaiano, Federico Fellini, Federico Fellini: idem.
Alberto Sordi vigile: idem