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IL MARCHIO D'INFAMIA

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ROBERTONovant'anni fa, negli USA, l'esecuzione di Sacco e Vanzetti, emigrati italiani innocenti, poi riabilitati nel 1977. Ed oggi il vento xenofobo torna a soffiare.

 

di ROBERTO LEOMBRONI

 

1927. Novant’anni fa. Gli USA si dibattono in gravi difficoltà economiche, legate alla riconversione post-bellica. Si inaspriscono le tensioni sociali. Le condizioni di vita dei lavoratori, soprattutto di quelli immigrati e di colore, si fanno sempre più precarie. Una forte reazione conservatrice e anti-sindacale si accompagna all’allarmismo nei confronti di un presunto pericolo bolscevico. Di qui la repressione nei confronti delle richieste di uguaglianza politica e di giustizia sociale e la spinta crescente a mantenere in condizioni subalterne le comunità degli immigrati. L’adozione di leggi contrarie all’immigrazione e la violenta rinascita del nazionalismo si affiancano alla diffusione di atteggiamenti repressivi nei confronti delle attività culturali e politiche. Riemerge il razzismo contro i neri e gli ebrei. Ritornano il Ku-Klux Klan e l’intolleranza religiosa.
A fare le spese della nuova ondata reazionaria sono, in particolare, due anarchici italiani. Nicola Sacco, pugliese, operaio calzaturiero. Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo ambulante, piemontese. Vengono arrestati nel 1920, in una retata di stranieri “indesiderabili”, accusati di rapina e duplice omicidio. L’anno successivo vengono condannati a morte, con una sentenza di tribunale decisa prima ancora che la giuria esprima il suo verdetto. Trascorrono sette anni Sacco e Vanzetdi detenzione e di inutili richieste di appello. L’opinione pubblica mondiale è convinta della loro innocenza e riempie le piazze di tutto il mondo con poderose manifestazioni di protesta. Ma, alla mezzanotte tra il 22 e il 23 agosto 1927, in un penitenziario presso Boston (Massachusetts), tramite la sedia elettrica, viene consumato quello che Franklin Delano Roosevelt (presidente degli USA dal 1933 al 1945) definirà “il delitto più atroce compiuto in questo secolo dalla giustizia umana”. A nulla vale l’attivismo degli avvocati difensori, a fronte di una macchina giudiziaria assolutamente indifferente nei confronti dei diritti civili e di qualsiasi esigenza di giustizia. Bisognerà attendere il 19 luglio 1977, cinquant’anni dopo l’esecuzione, perché il governatore del Massachusetts riabiliti ufficialmente i due anarchici italiani.
Perché “Nick e Bart” sono condannati nonostante la loro palese innocenza? La risposta è nella “ragion di Stato” imposta dalle condizioni storiche. In particolare quelle di uno Stato, il Massachusetts, che, ben tre secoli prima, si era distinto nella “caccia alle streghe” e nello storico processo evocato nel dramma di Arthur Miller Il crogiolo. Alla base della condanna c’è una motivazione di fondo: al di là della loro innocenza o colpevolezza, Sacco e Vanzetti sono “operai italiani anarchici”. Un triplice “marchio d’infamia” per l’America bianca, anglo-sassone e protestante (WASP). Che non accetta “contaminazioni”. Soprattutto da parte di chi è in odore di “sovversione”.
A novant’anni di distanza, pur in un contesto radicalmente mutato, un’ondata di xenofobia torna a investire gli Stati Uniti. Si erigono muri e si pretende di “scegliere” gli immigrati “buoni”, sbarrando le frontiere ai “cattivi”. Nella fattispecie quelli provenienti dai Paesi islamici. Con la significativa eccezione dell’Arabia Saudita (come si sa, pecunia non olet). È deprimente constatare come, dopo quasi un secolo, quella parte di umanità che, senza alcun merito, ha avuto la fortuna di nascere nella “parte giusta” del pianeta, continui a negare ai “dannati della terra” il diritto a una vita dignitosa.

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