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ASCESA E CADUTA DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

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ROBERTOUna stagione particolarmente creativa della vita politica e civile della Germania, naufragata fra divisioni interne, ostilità del capitalismo e del populismo e grande crisi del ’29.


di ROBERTO LEOMBRONI

 

 

Il 6 febbraio 1919, un secolo fa, si riuniva, nella storica città di Weimar, l’Assemblea nazionale tedesca. Con il compito di adottare la Costituzione, adottata pochi mesi dopo (il 31 luglio), di quella che passerà alla storia come la Repubblica di Weimar.
All’indomani della prima guerra mondiale la situazione della Germania assomigliava molto a quella della Russia del ’17. Tuttavia, la socialdemocrazia tedesca (SPD), il partito più forte alla guida della repubblica nata alla fine della guerra, si oppose a una soluzione di tipo sovietico, ricercando l’alleanza con la vecchia classe dirigente e reprimendo nel sangue, nel gennaio 1919, l’insurrezione “spartachista” guidata dall’estrema sinistra di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. La Costituzione approvata a Weimar, s’ispirava a un modello di democrazia avanzata, prevedendo il federalismo, il suffragio universale maschile e femminile, la responsabilità del governo di fronte al parlamento, l’elezione popolare del presidente.
La vita della Repubblica, fino alla sua agonia, sarà tuttavia caratterizzata da una costante instabilità. Che si spiega soprattutto con la diffidenza dell’opinione pubblica nei confronti di un sistema indissolubilmente associato, nell’immaginario collettivo, alla sconfitta. Sin dall’immediato dopoguerra, infatti, l’estrema destra nazionalista aveva abilmente diffuso il mito della “pugnalata alla schiena”, che scaricava sulla SPD la responsabilità della sconfitta e delle umilianti condizioni di pace imposte alla Germania. Tale diffidenza si accentuerà ulteriormente quando diverrà dirompente il problema delle riparazioni, con la conseguente gravissima crisi del marco. La necessità, infatti, di pagare 132 miliardi di marchi-oro in quarantadue rate annuali spingerà i governi della Repubblica, tra il ’21 e il ’23, a stampare carta-moneta, alimentando rapidamente il processo inflattivo. La situazione si farà ancor più incandescente in seguito all’occupazione franco-belga della Ruhr (inizio del 1923), decisa per garantire il pagamento delle riparazioni. La sottrazione alla Germania di una regione molto importante dal punto di vista economico farà precipitare la crisi e l’inflazione. Nel novembre 1923 un dollaro arriverà a valere la cifra astronomica di quattromila miliardi di marchi. Si calcola in almeno settecentomila il numero dei tedeschi morti di fame e di stenti in quegli anni. Tale situazione provocherà tentativi insurrezionali da sinistra (insurrezione comunista di Amburgo) e da destra (putsch di Monaco, capeggiato da Hitler, nel novembre ’23, con la collaborazione del generale Ludendorff). Entrambi saranno repressi. Il secondo, in particolare, finirà con la condanna di Hitler a cinque anni di carcere, in parte condonati.
La crisi sarà temporaneamente fermata dal governo Stresemann (estate 1923), guidato dal leader del partito tedesco-popolare, espressione della grande industria. Che avvierà una politica di stabilizzazione monetaria, con l’emissione del Rentenmark (marco di rendita), garantito dal patrimonio agricolo e industriale della Germania. Contemporaneamente esso avvierà la riconciliazione con la Francia, determinando condizioni favorevoli all’elaborazione del piano Dawes (finanziere e uomo politico USA), grazie al quale la Germania potrà accedere a cospicui prestiti internazionali (soprattutto statunitensi). Gli imprenditori però s’impegneranno, in cambio, a impedire l’evoluzione della democrazia tedesca verso un vero e proprio “Stato sociale”, imbrigliando di fatto l’azione della SPD. La ripresa economica sarà poi comunque stroncata dalla grande crisi del 1929, che scatenerà la sequenza di eventi destinati a favorire il crollo della Repubblica e, nel 1933, l’avvento del nazismo.
Un dato inquietante, nella storia della Repubblica, è costituito da quello che lo storico Lucio Villari definisce il suo “pacifico” tramonto. Essa, infatti, non sarà abbattuta né da una rivoluzione, né da un colpo si Stato. A decretarne la fine sarà una catena di crisi politiche, di frequenti consultazioni elettorali, di acuti contrasti, a sinistra, tra una socialdemocrazia riformatrice e un partito comunista rivoluzionario. Tutto ciò, a fronte di una dilagante destra reazionaria e di un centro moderato, sostenuti da industriali, finanzieri, grandi proprietari terrieri. Per non parlare delle tensioni prodotte dalla presenza di milioni di disoccupati e dell’atteggiamento, ostile alla repubblica, delle alte gerarchie cattoliche e protestanti, dei militari umiliati dalla sconfitta, d’intellettuali inquieti e di giovani nazionalisti decisi a vendicarla. Aiutati, nelle loro rivendicazioni, dalla cecità dei vincitori, che avevano imposto, a Versailles, trattati di pace ingiusti e umilianti nei confronti del popolo tedesco. Non si è in errore se si afferma che a infliggere il colpo di grazia alla repubblica saranno, in gran parte, coloro che avrebbero dovuto sostenerla: a partire dai liberali e dai cattolici del “Centro”, che si mostreranno proni e acquiescenti nei confronti sia del grande capitale sia del populismo nazista.
Nonostante le sue disavventure e il suo tragico epilogo, la stagione weimariana costituirà un momento storico particolarmente creativo della vita politica e civile della Germania. In particolare nel campo della cultura, si moltiplicheranno i luoghi e le atmosfere in cui le arti figurative, il cinema, l’architettura, la letteratura, la musica, il teatro, caratterizzati dai linguaggi sperimentali delle avanguardie, renderanno quella repubblica un vivace laboratorio di transizione verso la modernità, bruscamente interrotto nel l933 dalla barbarie nazista. Sono gli anni del Bauhaus, la rivoluzione architettonica di Walter Gropius. Delle analisi filosofiche di Martin Heidegger, di Ernst Bloch, di Ernst Jünger, di Walter Benjamin, di Siegfried Kracauer. Dei pittori e registi cinematografici dell'Espressionismo. Dei romanzi di Joseph Roth. Berlino, in particolare, conoscerà una fase storica di grande vitalità. Di cui sarà espressione la scoperta del Jazz. Anch’essa, come le altre avanguardie, destinata a spazzare via convenzioni e schemi tradizionali, creando l’ambiente nel quale s’imporrà lo stile degli spettacoli che renderanno famosi Kurt Weill e Bertolt Brecht. Ma la Repubblica di Weimar sarà all’avanguardia anche per la liberazione della donna e per la scoperta di una sessualità disinibita. Perfettamente in linea con una società di massa nella quale impazzano il cinema, i dischi, la moda sportiva, la fotografia, lo stile architettonico “Novecento”. Una modernità che il nazismo cancellerà dalla Germania, ma non potrà impedire che continui a vivere altrove, soprattutto negli Stati Uniti. Contribuendo non poco alle fortune della cultura nordamericana di quegli anni.
Tragica e gloriosa, dunque, la storia di quei quattordici anni di democrazia vissuti dalla Germania post-bellica. Una storia che continua ad ammaestrarci ogni volta che nelle democrazie occidentali, in particolare in Italia, malcontento sociale, instabilità politica, pulsioni populiste e “sovraniste” rischiano di mettere in discussione modelli di benessere e democrazia faticosamente costruiti.

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