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MATTIOLI E LA SUA TERRA

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COSTANTINO FELICEIdentità e microstorie. I legami culturali e civili del «più grande banchiere italiano dopo Lorenzo dei Medici» con Vasto e l'Abruzzo. I tanti gesti di affetto e generosità. Una proposta per onorarlo con rinnovata attenzione.

                         di COSTANTINO FELICE

1. La figura e l’opera di Raffaele Mattioli, lo straordinario banchiere umanista – «il più grande banchiere italiano dopo Lorenzo dei Medici», scrisse «Le Monde» in occasione della sua morte (27 luglio 1973)[1] – hanno inciso profondamente nella storia d’Italia non soltanto sotto il profilo economico e bancario ma anche culturale MATTIOLI 3e politico. Le sue scelte hanno avuto un peso molto importante, in certi momenti forse decisivo, sulla definizione degli equilibri economici in Italia (talvolta anche nei rapporti internazionali). Ma egli è stato anche promotore e organizzatore (oltre che finanziatore) dell’alta cultura, specie quella d’orientamento laico, come pure della buona politica, sempre animato da un saldo spirito civico e democratico. Sentimenti di liberalità e di affettuosa partecipazione hanno continuamente ispirato i suoi rapporti con Vasto, la sua città natale, sentimenti generati da ragioni di biografia familiare e da costanti legami di ordine culturale e civile. E ciò nonostante la cittadina abruzzese sembrasse, per un certo periodo, non dedicargli la dovuta attenzione, a causa anche di quel «vecchio malanno» (un pervicace campanilismo spesso debordante in clientelismo, se non proprio in familismo) che, come ha mostrato il letterato Mario Sansone analizzandone l’eziologia in una lucida nota[2], continuava ad affliggere ampie zone dell’Abruzzo, come peraltro dell’intero Mezzogiorno. Le ragioni potevano essere varie e complesse (del resto la letteratura meridionalistica vi si è soffermata a lungo). Ma certamente nel suo persistere, accanto a fattori economici e sociali, giocava un ruolo non secondario l’angustia culturale in cui all’epoca si muoveva, più per necessità che per vocazione, gran parte della intellettualità operante in periferia. Sennonché il vastese Mattioli, questo abruzzese della marina, come pure orgogliosamente amava definirsi differentemente dagli abruzzesi della montagna (lo ricorda Elena Croce, la figlia del filosofo), era del tutto decondizionato dall’ottica deformante dei giochi e degli interessi di campanile.
Ma a pesare sull’assurda estraneità di questo «grande borghese» rispetto al patrimonio culturale e civile della città natale, e dell’Abruzzo in generale, era soprattutto il fatto che egli restava pur sempre il campione dell’alta finanza laica, in competizione, se non proprio in conflitto, con il sistema bancario d’ispirazione cattolica. Per ambienti dal lato politico largamente dominati dalla Dc e dal lato etico saldamente permeati da valori e comportamenti chiesastici, un banchiere eterodosso come Mattioli, «laico con punte di anticlericalismo»[3], non poteva non essere avvertito che come altro da sé.

2. Altra era, ovviamente, la considerazione che di Mattioli si aveva nel contesto nazionale: insigne banchiere «capace di spingere l’analisi dentro le strutture, sino agli aspetti sociali e politici dei problemi» (Guido Carli), «grande uomo di cultura [...], protagonista, oltre che spettatore attento ed acuto, di rilevanti importanti vicende politiche» (Ugo La Malfa), «disinteressato servitore dello Stato repubblicano» (Giorgio Amendola), «intellettuale geniale» (Riccardo Bacchelli), «uomo nuovo d’affari europeo che ancora non c’è» (Giulio Einaudi)[4], e si potrebbe continuare a lungo.
Quanto ai legami con la sua città d’origine, don Raffaele, come confidenzialmente lo si chiamava a Vasto, non sembrava per nulla toccato dall’alone di estraneità che gli era stato cucito addosso e per tutta la vita il suo abituale impegno civile e culturale non mancò di estendersi fino ad ambienti della società vastese e abruzzese più o meno amichevoli. Lo fece con molteplici gesti di affetto e di generosità. Ne fanno fede, per citare solo qualche esempio, il contributo di 500 lire che egli volle donare BENEDETTO CROCEnel 1932 per la sistemazione del Museo Archeologico di Vasto[5]; la ristampa anastatica dell’opera di Antonio De Nino sugli usi e costumi dell’Abruzzo[6]; la raccolta, curata insieme a Carlo Antoni, degli scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo compleanno[7]. E si potrebbe continuare.
Nell’ambito dei virtuosi rapporti tra Mattioli, Croce e l’Abruzzo andrebbe ricondotta anche la gloriosa vicenda napoletana dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici[8], alla cui creazione e gestione il banchiere umanista ha contribuito, ovviamente insieme a Croce. in modo determinante (ne fu consigliere dal 1948 al 1952 e poi presidente fino alla sua morte nel 1973). Dal 1963 al 1971, su designazione del presidente Vincenzo Rivera, fu anche socio onorario della Deputazione di Storia Patria per gli Abruzzi. L’arcinoto mecenatismo di Mattioli si era insomma dispiegato copiosamente anche in terra d’Abruzzo[9], con particolare riguardo proprio alla natia Vasto. Ed è facilmente ipotizzabile – anche per i suoi amichevoli rapporti con Enrico Mattei, presidente dell’Eni, in una certa misura pure lui vastese[10] – un suo ruolo attivo nel processo di industrializzazione del Vastese nei primi anni sessanta (e anche in altre fasi).
Con questi elementi di consapevolezza mano a mano consolidatisi, un gruppo di amici più o meno intellettuali, fra cui chi scrive questa nota, raccolti nella Cooperativa culturale Agorà, più precisamente nel suo Settore ricerche storico-sociali, verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso iniziò un’opera tesa all’approfondimento dell’opera di Mattioli nel panorama politico nazionale e a far crescere, attraverso un’iniziativa di livello nazionale, il contesto culturale e civile d’ambito locale, sfatando luoghi comuni e false convinzioni. Forti dell’aiuto di un personaggio di grande prestigio come Giorgio Amendola, ci mettemmo in contatto con gli ambienti milanesi che allo scopo potevano esserci utili (in realtà sarebbero risultati decisivi): in particolare Vando Aldrovandi, direttore della libreria Einaudi di via Manzoni, e soprattutto Maurizio Mattioli (il quale tra l’altro mi fece subito l’onore di donarmi la monumentale collana di Storia economica della Banca Commerciale), il figlio del grande banchiere. Con successo vennero contattati i vari relatori e fin dall’inizio ottenemmo l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica. A questo punto, con aderenze di così alto livello, divenne impossibile per le autorità comunali, provinciali e regionali non collaborare fattivamente, assumendone quanto meno il patrocinio, alla riuscita del convegno. Furono comunque i vertici milanesi della Comit a farsi carico in concreto della sua organizzazione e gestione, dislocando per esempio a Vasto un loro alto funzionario, Bernardo Crippa, stabilmente trasferitosi in città dai primi di aprile 1980.

3. Il convegno di studi si tenne il 12 e 13 aprile 1980), con il titolo «La figura e l’opera di Raffaele Mattioli», e venne promosso, come già detto, dalla Cooperativa Culturale Agorà (Settore ricerche storico-sociali), sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica (Sandro Pertini) e con il patrocinio della Regione Abruzzo, della Provincia di Chieti e del Comune di Vasto. Si tenne presso il Politeama Ruzzi sotto una stretta sorveglianza delle forze dell’ordine (eravamo in pieno periodo del terrorismo rosso, che risultava avere di mira particolarmente Leo Valiani, allora implacabile editorialista del «Corriere della Sera»). Ovviamente vennero attivati un Comitato d’onore e un Comitato organizzatore[11]. Questi i relatori (in ordine d’intervento): Costantino Felice, Leo Valiani, Giorgio Rodano[12], Natalino Sapegno, CONVEGNOGiovanni Malagodi[13], Silvio Ciccarone. I relativi Atti hanno visto per la prima volta la luce grazie ad una pubblicazione (300 copie numerate, con Premessa dell’allora sindaco di Vasto Antonio Prospero) edita dalla Banca Commerciale Italiana nella primavera del 1988.
Da questo convegno vastese, il «primo celebre convegno su Mattioli»[14], o anche in concomitanza con esso, partì una serie di altri eventi intitolati al suo nome, o comunque ispirati al suo universo valoriale. Venne aperta una succursale della Comit a Vasto (con tanto di inaugurazione ufficiale). La famiglia Mattioli fece dono della casa natale alla città con esplicita finalità di destinazione ad uso culturale (biblioteca, mostre, convegni): un signorile palazzotto nel centro della città.
Negli anni successivi al convegno il lavorio attorno alla figura di Raffaele Mattioli continuò ininterrottamente e sfociò, nel 1996, in un secondo convegno. Intitolato «Raffaele Mattioli nell’economia e nella cultura», esso è stato organizzato (1° giugno 1996) dall’Assessorato alla promozione culturale della Regione Abruzzo, in concreto dal Centro servizi culturali di Vasto. Anche in questo caso gli interventi degli studiosi (Marcello De Cecco, Brunello Vigezzi, Francesca Pino, Costantino Felice) sono stati pubblicati la prima volta da «Abruzzo Contemporaneo» (1997, n. 4), rivista semestrale di storia e scienze sociali dell’Istituto abruzzese per la storia d’Italia dal fascismo alla resistenza, a quel tempo diretta da chi scrive.
Le relazioni di entrambi i convegni sono state poi raccolte, sempre mantenendo la loro originaria natura di testimonianze orali, nel citato volume La figura e l’opera di Raffaele Mattioli, pubblicato nel 1999 dalla casa editrice Riccardo Ricciardi, allora diretta da Maurizio Mattioli. Ai testi dei relatori nel libro si aggiungono due Appendici: la prima comprende un saggio di Francesca Pino, Note sulla cultura bancaria a Milano nei primi anni Venti: Cabiati, Mattioli e la «Rivista bancaria», uscito la prima volta sulla «Rivista di storia economica» (1995, fasc. 1), saggio relativo ad un periodo della vita di Raffaele Mattioli di solito scarsamente indagato; la seconda riguarda invece un documento, Statuto dell’Associazione per lo studio della formazione della classe dirigente dell’Italia unita, fino ad allora inedito – inquadrato magistralmente nel saggio di Brunello Vigezzi – di eccezionale valore storico, come si può intuire già dal titolo.

4. Per comprendere a fondo i suoi rapporti con Vasto e l’Abruzzo, occorre infine considerare che Mattioli, sebbene dichiaratamente perplesso circa la possibilità di classificazioni tipologiche su base regionale («raffigurazioni facillime e generiche», le definisce una volta), e ancora più avverso a ogni compiacimento provincialistico o di campanile, finisce pure lui con l’indulgere, in qualche circostanza, a una certa retorica sui «tratti distintivi» di un supposto temperamento abruzzese. È ovvio che il dato anagrafico del luogo di nascita e di residenza non abbia alcuna importanza ai fini della caratterizzazione di una personalità, specie se dotata di qualità non comuni. Mattioli era filius temporis (della sua intelligenza e dei suoi studi), piuttosto che filius loci, come nella celebre monografia su Montenerodomo ebbe a dire di sé il suo grande amico Benedetto Croce[15]; ma è probabile che, come capitava allo stesso Croce[16], anche questo abruzzese della marina, nel superare le difficoltà della vita con «volontà ferma», «persistenza» e «resistenza», più di una volta abbia potuto dire a se stesso con un certo orgoglio: «tu… sei abruzzese!»[17].
Fu un altro suo intimo amico, lo scrittore Giovanni Titta Rosa, anch’egli abruzzese trapiantato a Milano, a tracciare di lui in questo senso il ritratto più penetrante e convincente, cogliendone con acuto sentire le affinità di carattere e di cultura con il filosofo di Pescasseroli. Suo è peraltro l’uso esplicito del termine «abruzzesità» per indicare le qualità di fondo dei due personaggi, per certi aspetti comuni anche a D’Annunzio.
Ma forse, mettendo da parte questa o altre somiglianze più o meno letterarie e arbitrarie, la vostra «abruzzesità» potrà piuttosto consistere in quel realismo di vita – come diciamo oggi – che fece da stimolo a quella «conquista», ripetuta a distanza di secoli da Gabriele con tanta inconsapevole analogia di «temperamento»: quel realismo tipico d’ogni abruzzese che si pone e propone compiti di non comune misura, e li assolve con una spontaneità e uno slancio da dar quasi l’impressione d’un gioco[18].
Nella lettera posta a prefazione del volume Abruzzo, pubblicato a Milano nel 1963, Mattioli scrive al Presidente della Banca Nazionale del Lavoro: «Conosco troppo bene la gente della mia terra, caro Longo, e so quanto è ritrosa di fronte alle manifestazioni ufficiali, quanto scettica dei complimenti di maniera, quanto catafratta d’impenetrabile ironia contro le più seducenti caratterizzazioni della demopsicologia»[19].
LIBROMattioli era talmente permeato dalla cultura d’origine, proprio in senso antropologico, da risentirne per tutta la vita persino nella formazione del carattere e quindi nelle manifestazioni più personali. Non è un caso che egli stesso si divertisse a scrivere poesie in dialetto vastese: componimenti a quanto se ne sa tuttora inediti.
L’ironia, l’affabilità, il buon gusto, il senso della concretezza, la ritrosia per l’ufficialità e le facili adulazioni: ecco, sono questi, in buona sostanza, i tratti di questa supposta «abruzzesità» che Mattioli riteneva di portarsi dentro. L’argomento del resto aveva ben solide ascendenze[20]. A simili suggestioni, in talune occasioni, compresi confidenziali messaggi con lo stesso Mattioli[21], non sfuggono neanche Benedetto Croce, com’è ampiamente risaputo (sebbene talvolta con palesi esagerazioni e stravolgimenti), e neppure un illustre statista come Silvio Spaventa[22], al cui magistero di liberalismo austero e disinteressato la formazione intellettuale del banchiere umanista, come ovviamente quella di Croce, non era certo estranea.  
Nei decenni del secondo dopoguerra le dichiarazioni su una certa tipicità degli abruzzesi – sempre in ambito colto – sono andate ripetendosi a getto continuo. Nel citato Discanto – un volume costruito da Pasquale Scarpitti agli inizi degli anni settanta nell’intento di «veder germinare (o disvelarsi) l’Idea-Abruzzo» (scrive proprio così) – quasi non c’è «testimone» che non ritenga, in un modo o nell’altro, di rinvenirne qualche manifestazione. In scritti del latinista Ettore Paratore, quando viene affrontato il tema dello «spirito» e del «carattere» degli abruzzesi[23], si trovano talvolta persino gli stessi termini adoperati da Croce, Spaventa, Titta Rosa e Mattioli stesso.
Sarebbe quanto mai opportuno dunque che, nonostante i già consolidati progressi di cui s’è detto, i legami tra la città di Vasto (come l’intero Abruzzo) e questo suo «figlio prediletto» venissero ulteriormente consolidati e fatti fecondare. Sarebbe anzitutto il caso, per esempio, di favorire in qualche modo la ristampa del volume (magari in edizione anastatica) La figura e l’opera di Raffaele Mattioli, pubblicato come già detto nel 1999 dalla casa editrice Riccardo Ricciardi, un volume ormai introvabile, anche per onorare degnamente la memoria di Maurizio (promotore di quella pubblicazione), deceduto lo scorso anno, che per Vasto, come già il padre, ha fatto tantissimo, dal lato culturale, ma non solo. E soprattutto mi permetto di tornare a proporre, come già ho ripetutamente fatto verso la municipalità vastese, la istituzione di un «Premio internazionale di saggistica economica» (teoria e/o storia della economia) specificamente intitolato a Raffaele Mattioli (si potrebbe anche chiamare semplicemente «Premio Mattioli»): una iniziativa stabile e duratura, cioè, che sappia promuovere e attualizzare l’universo valoriale al quale il grande banchiere umanista ha ispirato il suo operato.

 

Note
[1] Questa definizione era riportata anche da E. Penati, Un bilancio – diceva – si legge come una poesia, in «Il Giorno», 28 luglio 1973. Poi il giudizio di «Le Monde» sarebbe stato ricordato da G. Nascimbeni sul «Corriere della Sera», 28 dicembre 1979.
[2] M. Sansone, Eziologia del municipalismo abruzzese, in P. Scarpitti, Discanto, Sarus, Teramo 1972, pp. XVII-XIX.  
[3] Gerbi, Raffaele Mattioli, p. 6. A questo libro (pp. 183-90) si rimanda anche per un sintetico quadro dei rapporti conflittuali tra Mattioli e i vertici governativi della Democrazia cristiana, fino all’estromissione del «banchiere-letterato» dalla Comit nel 1972 per volontà di Giulio Andreotti, allora capo del governo, e di Emilio Colombo, ministro del Tesoro. A Mattioli, che sdegnosamente rifiutò la presidenza onoraria, subentrò Gaetano Stammati, ragioniere generale dello Stato, che poi sarebbe stato travolto dallo scandalo della «loggia P2». Dopo quattro anni, tuttavia, tornò alla presidenza un «uomo Comit fin nel midollo», Innocenzo Monti, marito della scrittrice Lalla Romano.
[4] Tutti questi giudizi si trovano in Ricordo di Raffaele Mattioli, Casa della Cultura, Milano 1975, pp. 24-55. L’intervento di Einaudi, Raffaele Mattioli, ovvero il «poeta» dei bilanci, uscì pure su «Belfagor», 1975, n. 7. Ma si veda anche E. Scalfari, Il banchiere che varcò le Alpi, in «L’Espresso», 5 agosto 1973. Interessate pure il giudizio di Ernesto Cianci, anch’egli vastese (fratello del citato Angelo), grande manager di imprese pubbliche e private, secondo il quale Mattioli sarebbe stato forse l’«ultimo banchiere dell’Italia moderna» (Nascita dello Stato imprenditore in Italia, a cura di A. Gagliardi, Carabba, Lanciano 209, p. 101). Per scritti di e su Mattioli, utile è tuttora il volume Raffaele Mattioli, Banca Commerciale Italiana, Milano 1973.
[5] «Il Vastese d’oltre Oceano», n. 182, 17 gennaio 1932.  
[6] L’opera di De Nino si può suddividere in due parti: la prima con il titolo Usi abruzzesi (2 voll., Barbera, Firenze 1879-1881), la seconda intitolata Usi e costumi abruzzesi ((4 voll.: Fiabe, Sacre Leggende, Malattie e Rimedii, Giuochi fanciulleschi, Barbera, Firenze 1883-1897). La ristampa anastatica dei sei volumi, a Firenze, Olschki editore, venne realizzata negli anni 1963-1965. 
[7] Cinquant’anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946, Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, a cura di C. Antoni e R. Mattioli, 2 voll., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1950. 
[8] M. Herling (a cura di), L’Istituto Italiano per gli Studi Storici nei suoi primi cinquant’anni, 1946-1996, Napoli 1996; Id., Raffaele Mattioli e l’Istituto Italiano per gli Studi Storici, in «Paragone», febbraio-giugno 2013, pp. 61-73; F. Pino, La Banca Commerciale a Napoli dal 1899: impulsi per lo sviluppo economico e culturale della città, in Dimore signorili a Napoli. Palazzo Zevallos Stigliano e il mecenatismo aristocratico dal XVI al XX scolo, Atti del convegno a cura di A. E. Denunzio et al., Intesa Sampaolo, Napoli 1013, pp. 409-10.

[9] Forse non è un caso che nel 1998 a Mattioli, oltre che ad Amedeo Pomilio e Pietro Barberini, su iniziativa della rivista «Oggi e domani», diretta da Edoardo Tiboni, in collaborazione con l’Associazione culturale Ennio Flaiano, il Centro nazionale di studi dannunziani e l’Istituto nazionale di studi crociani, sia stato intitolato un premio denominato, appunto, «Il mecenate d’Abruzzo». Se ne illustrano le ragioni in un supplemento di «Oggi e domani», n. 289, marzo-aprile 1999.
[10] C. Felice, Vasto. Storia di una città, Donzelli, Roma 2011, pp. 484-89; Id, Il Mezzogiorno operoso. Storia dell’industria in Abruzzo, Donzelli, Roma 2008, pp. 375-84. Si veda anche la relazione di Silvio Ciccarone in La figura e l’opera di Raffaele Mattioli, Ricciardi, Milano 1999, pp. 85-100.
[11] Questi i componenti del primo: Giorgio Amendola, Leo Valiani, Maurizio Mattioli, Innocenzo Monti (presidente della Comit), Romeo Ricciuti (presidente della Giunta regionale), Mario Pennetta (presidente della Giunta provinciale), Antonio Prospero (sindaco di Vasto), Raffaele Tessitore (imprenditore, cugino di Raffele Mattioli), G. Zimarino (?). Questi i componenti del Comitato organizzatore: Nicolangelo D’Adamo, Costantino Felice, Vando Aldrovandi, Luigi Murolo, Alfonso Filippini, Domenico Smerilli, Renato Cannarsa.  
[12] Dalla rielaborazione e dall’approfondimento di quell’intervento Giorgio Rodano ha poi tratto un apposito volume: Il credito all’economia. Raffaele Mattioli alla Banca Commerciale Italia, Ricciardi, Milano-Napoli 1983.    
[13] Anche Malagodi ha poi pubblicato uno specifico volume: Profilo di Raffaele Mattioli, Ricciardi, Milano-Napoli 1984 (poi riedito da Aragno).    
[14] Gerbi, Raffaele Mattioli cit., p. 143. 
[15] Com’è noto, le due piccole monografie di storia locale, Montenerodomo. Storia di un Comune e di due famiglie, Napoli, 23 agosto 1919, e Pescasseroli. Feudalesimo tra le montagne abruzzesi, novembre 1921, dedicate, rispettivamente, ai cugini Vincenzo Croce ed Erminio Sipari, costituiscono l’Appendice, con il titolo Due paeselli d’Abruzzo, in B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza, Bari 1925, pp. 291-328 e 329-94.
[16] Vale la pena annotare, in proposito, che nella genealogia familiare di Benedetto Croce si può rintracciare una lontana parentela anche con Vasto. Un suo zio acquisito, Francesco Cardone, era infatti membro di un casato nobiliare, feudatario di Calcabottaggio (provincia di Campobasso), insediatosi saldamente nella cittadina adriatica (Felice, Vasto cit., pp. 90-92, passim). Egli era marito di Olimpia Frangipani dei duchi di Mirabello (sempre vicino Campobasso), amica di Cuoco (secondo malelingue anche amante), Filangieri, Genovesi e altri «giacobini» napoletani, sorella della nonna del filosofo, Luisa Frangipani (moglie dell’omonimo nonno, magistrato a Campobasso), della quale Croce scrive amorevolmente nella citata monografia su Montenerodomo (Storia del Regno di Napoli cit. p. 341). Una figlia di Francesco Cardone e Olinpia Frangipani, Irene, sposò Nicola Cauli, barone di Policorvo presso Casalanguida (nel medio Vastese), ad un cui discendente, Arturo Cauli, cultore della propria storia familiare, devo la cortesia di queste informazioni.
[17] B. Croce, Il discorso di Pescasseroli, in «Rivista Abruzzese», XIX (1966), n. 1-2, pp. 3-5. Questa piccola orazione di Croce, pronunciata dal balcone di palazzo Sipari il 21 agosto 1910, in occasione di una sua visita al paese d’Abruzzo dove era nato e ove non era più tornato, venne prima pubblicata ne «Il Mondo», XVIII (1966), n. 890, p. 5.
[18] G. Titta Rosa, A Raffaele Mattioli, in Cinque abruzzesi e alcuni paesi d’Abruzzo, Martello, Milano 1970, pp. 13-14.  Un’idea degli intensi rapporti di Mattioli con Titta Rosa si può avere anche dal lungo carteggio che ci fu tra i due (Gaito-Pino, a cura di, Carte di Raffaele Mattioli cit., p. 429).
[19] Lettera aperta del dottor Raffaele Mattioli, Presidente della Banca Commerciale Italiana, all’ingegner Imbriani Longo, Presidente della Banca Nazionale del Lavoro, in Abruzzo, Electa, Milano 1963, pp. 5-6.
[20] Mi permetto di rimandare, per una più distesa e argomentata trattazione del tema, in termini molto critici, al mio Mezzogiorno tra identità e storia. Catastrofi, retoriche, luoghi comuni, Donzelli editore, Roma 2017.
[21] Vale la pena ricordare, per esempio, questa dedica autografa (segnalatami gentilmente da Carlo Tessitore e Antonio Santoro) che si trova sulla copia del libro Aneddoti di varia letteratura, vol. I, Ricciardi, Napoli 1942, di cui Croce fece omaggio a Mattioli: «A Raffaele Mattioli / con amicizia / e con grande comunanza di sentimenti / (siunpateia) / in cui forse ha la sua parte la / comune origine abruzzese. / Dicembre 1941 / Benedetto Croce».
[22] S. Spaventa, L’Associazione abruzzese, in La politica della Destra. Scritti e discorsi raccolti da Benedetto Croce, Laterza, Bari 1910, p. 484. Cfr. C. Felice, Croce, Mattioli e l’Abruzzo: spunti per qualche riflessione storiografica, in La figura e l’opera di Raffaele Mattioli cit., pp. 173-222.
[23] Si possono ad esempio vedere: Profilo d’una storia della cultura abruzzese, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1965; Uno strano atteggiamento della cultura abruzzese, in «Dimensioni», 1957, 2-3, pp. 25-35; Proposta di interpretazione della storia e della cultura d’Abruzzo e Tendenze ed orientamenti delle ricerche in Abruzzo, in «Abruzzo», 1963, n. 1-2 (soprattutto pp. 34 e 37), e 1967, n. 1, pp. 13-29.  

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