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I NUMERI NON MENTONO

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tommaso iurisciLa certezza matematica viene spesso invocata a sostegno del teatrino televisivo della finta compassione. Ma si ignora il complesso lavoro interdisciplinare che richiede la costruzione di un modello matematico.

 

                                            di TOMMASO IURISCI

Una teoria ha due sole alternative: è giusta o è sbagliata.
Un modello ha una terza possibilità:
 può essere giusta, ma irrilevante.
                                                                          Manfred Eigen (Nobel per la chimica 1967)

Nel mondo le morti causate dalla pandemia di Covid-19 hanno di gran lunga superato il milione; in Italia siamo oltre i 50000 decessi. Sono numeri, non hanno dolore. Non esiste quotidiano cartaceo o digitale che non s’impegni a riportare dati di ogni genere in riferimento diretto alla pandemia, che ormai percorre ogni angolo della Terra. Rispetto ai mesi di marzo/aprile la divulgazione si è arricchita di molti grafici che dovrebbero spiegare più efficacemente l’andamento delle infezioni, dei decessi dei ricoveri e delle guarigioni. Per esperienza personale devo dire che la gente rinuncia a leggere e interpretare le note esplicative, anche perché non sono sempre sufficientemente chiare.  Quello che rimane nella mente e diventa una specie di virus verbale è il termine “esponenziale” accompagnato da un “assolutamente sì”, e i migliori interpreti di questo teatrino sono i Tg e le cronache televisive. I protagonisti di questa recita sono molti giornalisti, ma anche personaggi, figli dell’immagine, che avvalorano il proprio dire da finta compassione, con una invocazione alla certezza Matematica.  Ora, per lo studio di questi fenomeni, la Matematica si serve di modelli i quali esigono che il fenomeno sia perfettamente conosciuto e che le leggi alle quali esso obbedisce siano ben quantificate. Per uno stesso fenomeno, si possono naturalmente avere differenti modelli, basati su approssimazioni differenti. Gli obiettivi della ricerca forniscono i criteri per una scelta particolare. Un notevole peso è dato, in questa fase, dalla collaborazione tra il matematico e lo sperimentatore. In maniera schematica: ruolo dello sperimentale =porre problemi, fornire dati sperimentali, controllare i risultati forniti dal matematico. Ruolo del matematico: ipotizzare modelli, risolverli, perfezionarli sulla base del confronto con i risultati sperimentali, suggerire opportune sperimentazioni. La costruzione di un buon modello è il risultato di un lavoro interdisciplinare. Il valore di un modello è determinato dall’utilità che esso presenta nello studio del mondo reale. Il modello matematico permette di predire l’evoluzione di un sistema biologico in funzione di stimoli diversi, senza rifare le esperienze, o in situazioni non verificabili sperimentalmente; di agire sul sistema, proponendo (mediante la teoria del miglior controllo) la definizione di terapie ottimali; di formulare e validare quantitativamente ipotesi biologiche; di indagare le proprietà reologiche (elasticità, viscosità, plasticità, ecc.) dei materiali biologici, allo scopo di ottenere simulazioni artificiali, di ricostruire segnali (elettrocardiografia, encefalografia, miografia), oggetti tridimensionali da sezioni trasversali (TAC) (interventi non invasivi). A proposito di previsioni Niels Bohr scriveva: “fare previsioni è molto pericoloso, specialmente quando ci si occupa di futuro”. I dati sperimentali sono estremamente importanti perché possono verificare la possibile inadeguatezza del modello matematico troppo complicato per la sua soluzione. La risoluzione numerica (simulazione su calcolatore) propone la collaborazione tra teorici e sperimentali: altro problema.  I modelli possono essere distinti nei seguenti due tipi: modelli di conoscenza e modelli di simulazione. I primi sono ottenuti traducendo matematicamente le leggi fisiche, chimiche, alle quali obbedisce il sistema reale studiato (conservazione della massa, dell’energia, della quantità di moto, ecc). I secondi (Black box) ignorano i meccanismi fisici, chimici intrinseci al sistema e propongono a priori delle equazioni, che occorre “adeguare” mediante un processo di identificazione, a partire dai dati sperimentali. Ma allora, con tutte queste specifiche cosa sta accadendo e perché visto che sui giornali leggiamo “La situazione è grave perché la curva ha un comportamento molto riconoscibile ed è quella di una curva esponenziale, la cui inversione di tendenza sempre molto lontana”?. Negli articoli si fa spesso riferimento alla riapertura delle scuole, ma questo va inteso esclusivamente come dato temporale e non altro. Lo spostamento giornaliero di 10 milioni di persone dopo la riapertura delle scuole ha fatto impennare il contagio. È nello spostamento casa-scuola-casa che vanno cercate le interazioni e la diffusione; non è possibile pensare che la mobilitazione quotidiana di 10 milioni di persone tra studenti e personale avvenga come se il nuovo coronavirus fosse improvvisamente incapace di trasmettersi in luoghi chiusi e affollati. La mancanza di una visione d'insieme è uno dei punti focali per riuscire a comprendere e poter frenare un contagio; nessuna attività deve essere concepita come slegata dalle altre, anzi sono proprio le interazioni tra attività diverse a generare il maggiore rischio. Nessun individuo è un'eremita lontano da tutto quello che lo circonda. Non ci si può permettere di guardare al particolare, ma occorre individuare i luoghi di rischio che sono quasi sempre nascosti proprio nell’influenza reciproca tra attività diverse, oppure tra persone che svolgono la stessa attività. Ci sono luoghi sicuri come le scuole dove il contagio viene ridotto ai minimi termini non tanto grazie a precisi protocolli (che ci sono per tutte le attività) quanto piuttosto per il rispetto degli stessi. Ma la risposta non può essere un goffo tentativo di portare la capienza dei mezzi all'80% che di fatto ha consentito ai mezzi pubblici di essere utilizzati nelle ore di punta come non si dovrebbe: addio distanziamento interpersonale, aerazione, sicurezza. Appaiono del tutto inutili le giustificazioni di un numero complessivo di passeggeri ridotto al 50% rispetto alla media abituale: il 50% rimanente è più che sufficiente per riempire un treno o un autobus. In generale: non c'è nessuna attività da colpevolizzare, ma ci sono attività che per la loro natura intrinseca sono l'habitat ideale per la diffusione del virus e per la possibilità che uno o più portatori di virus esprimano tutto il proprio potenziale. E sono tutte quelle che si svolgono in luoghi chiusi e affollati, oppure all'aperto con una grande densità di soggetti (per esempio uno stadio) dove le persone parlano ad alta voce, gridano, cantano.  Il fatto che in molti di questi casi si abbassi la mascherina (per esempio per mangiare, bere o muoversi con scarsa disciplina) è un ulteriore moltiplicatore del rischio. Avere come primo obiettivo difendere il proprio campo di azione, come se il virus corresse solo altrove, non fa altro che facilitare la corsa del contagio. A favorire la diffusione non è il luogo, ma la combinazione tra luogo e comportamenti. Certo, per ottenere un concreto risultato occorrono non solo regole precise al posto dei consigli, ma anche capacità e strumenti per farle rispettare. Difficile? La responsabilità e il rispetto del prossimo mi sembrano costituire la strada più giusta di una comunità per opporsi al virus.

P.S.  I numeri non mentono mai. Ciò non significa che chi mente non possa usare i numeri. 

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