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FAVOLOSA INDIA/2

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GurundwaraLa “magia” di una musica che crea oasi di pace in mezzo al frastuono della città, le folle di devoti nei luoghi di culto, l’immobilità del tempo e la vertiginosa dinamicità, il deserto e i ricchi palazzi: i mille aspetti di una terra fiabesca.

 

RITABARTProseguendo nella visita di quel particolare territorio indiano che è il Rajasthan, ho constatato come un’altra protagonista di tante situazioni sia la musica. Di origine antichissima e strutturata in modalità diversa rispetto alla concezione occidentale, nasce legata alla ritualità religiosa, per discostarsene poi lentamente mantenendo, purtuttavia, intatta una forte impronta spirituale, capace di favorire la meditazione in chi suona e in chi ascolta. S’alza dai luoghi più impensati, spesso da angoli di vie per opera di suonatori solitari, così tanto sprofondati nella loro arte da divenire dimentichi della realtà d’attorno, simili a sculture in pietra. Le melodie si diffondono da strumenti antichi come ad esempio il sitar e il tampura e, non si sa come, s’impongono sul frastuono circostante ritagliando oasi di pace e serenità.
FIRMA BARTOLUCCII luoghi di culto, tanti quante le religioni praticate nelle loro diverse sfumature, sono le realtà più conturbanti. Divinità raffigurate in forme imponenti, spesso di genere femminile o con sembianze animali, accolgono la sincera devozione di folle di credenti, che recano loro in dono cibo e fiori.
Non nego di aver provato in questi siti un senso di vergogna per la mia condizione di turista intrisa di curiosità e non di fede. Ritenevo di disturbo la mia presenza, pur se nessuno sembrava farci caso; anzi spesso è capitato offrissero fiori a me che non ne avevo, perché potessi farne dono alle divinità.
Mi resta indimenticabile l’esperienza vissuta al tempio Gurudwara Bangla Sahib, dedicato alla religione Sikh, lo stesso giorno dell’arrivo a Delhi, allorché la guida ha messo a credere che avremmo cenato lì stesso, alla mensa dei poveri, per farne diretta conoscenza.
Tutti abbiamo prestato fede alle sue parole e ci siamo disposti a fronteggiare l’evento, in sé lodevole, ma preoccupante per molti versi. Avevamo infatti innanzi agli occhi la visione dei grandi calderoni, colmi di una zuppa indecifrabile, rimestata da pale come remi e pile vertiginose di piatti di metallo, circa la cui igiene era meglio soprassedere. Personalmente già vedevo concretizzarsi tutti i miei timori di infezioni, anzi sentivo proprio camminarmi i germi addosso e ciò disturbava la splendida visione dei rituali, cui avevamo poc’anzi assistito, dominati dal colore arancione, simbolo di coraggio dell’uomo di fronte alla morte e dal profumo dell’incenso, misto a quello del burro chiarificato. Quando, inaspettatamente, siamo stati dirottati verso un grazioso ristorante che sorgeva nei pressi.
MANDAWAIl sollievo è stato grande e grandioso il desinare! Ho avuto modo di apprezzare immediatamente la cucina locale, molto orientata sull’utilizzo di verdure, formaggi e di poca carne, in preferenza di pollo, dato che le vacche sono sacre, mentre esso, non usufruendo di pari dignità, ci rimette le penne per finire arrosto nel pregevole forno d’argilla: il tandoori. Il pane era delizioso, simile a focaccia; da solo era una gioia per il palato, come la ricca varietà di frutta. Per tutta la durata del soggiorno, nella diversità di luoghi, l’alimentazione ha beneficiato di questi caratteri.

Numerose sono state le tappe successive a Delhi, di esse parlerò in modo sintetico nella speranza di non tediare.      
Le prime visite sono state riservate a Mandawa e Bikaner, due cittadine che hanno goduto nel passato di un certo sviluppo economico, essendo avamposti commerciali per le antiche vie carovaniere dirette verso la Cina o il Medio Oriente, successivamente decadute. Soprattutto Mandawa reca in sé molti segni della fruita ricchezza, esternata nelle haveli.  Erano queste delle dimore signorili, appartenute a ricchi mercanti, edificate all’insegna del fasto. Oggi versano in uno stato di abbandono; vi si respira una tranquillità strana, fatta di gran silenzio che rende percepibile lo scorrere e l’immobilità del tempo, il senso di caducità dell’operato umano e il trionfo della natura che tutto in sé riprende e assorbe. Ho passeggiato lungo le sue stradine in una dolce mattinata di prima estate, tra il garrito delle rondini, lo stridio dei corvi e un fil di musica – di nascosta provenienza –; sorpresa da quel mondo statico, estraneo a cliché esistenziali obbligatori.
JodpurBikaner si offre nell’ arido aspetto, roccioso e cespuglioso, del deserto del Thar. Ѐ famosa perché nelle sue prossimità sorge un famoso, quanto strano, tempio indù, detto anche dei topi, per la copiosa presenza di questi animali, a cui folle di sinceri devoti recano omaggio con rituali di preghiera e portando in dono latte e cibo. L’esperienza è sicuramente sconvolgente ma, se si riesce a superare l’istintivo ribrezzo (io non ci sono riuscita, mi sono solo limitata a osservare dall’esterno il brulichio delle bestiole e delle genti), dà occasione di riflettere sullo spiccato sentimento filosofico religioso di chi, in tutti gli esseri della natura, vede la presenza di una forza spirituale e cerca di vivere in armonia con essa.
Le visite, che a queste hanno fatto seguito, sono state riservate alle città più fiabesche e favolose: Jaisalmer, Jodhpur, Jaipur, Udaipur e, infine, Agra.
La prima, conosciuta anche come “città d’oro” per il colore della pietra di cui sono fatti gli edifici e per quello del deserto che la circonda e con essa fa corpo unico, ha un aspetto medievale. Sorge su un costone coronato da un antico forte che cinge con possenti mura la città vecchia. Ѐ ricca di haveli, splendidamente intarsiati nella morbida arenaria, le cui facciate hanno la leggiadria e leggerezza di trine e merletti ed è particolarmente famosa per le sete e le pietre preziose, essendo stata un’importante tappa per chi percorreva la via della seta. A tutt’oggi è un centro di riferimento per lo smercio di pregiate stoffe, tappeti e quant’altro. Quanta maestria si nota in quei tessuti! E quanta fatica per lavori logoranti, sottopagati, svolti dalla mano artistica di operai asserviti ai telai secondo orari dilatati, nell’umida calura climatica e nella lanuggine polverosa. Visitare i laboratori di produzione, spesso contigui agli spazi di vendita, è fonte di conoscenza a largo raggio e un’occasione per riflettere sulle sorti di tanta condizione umana.
Dopo la “città d’oro” ecco apparire Jodhpur, la “città azzurra o blu”, così definita per il colore usato nella tinteggiatura delle case, utile a tenere distanti gli insetti o, secondo altre versioni, a indicare le case dei Bramini, casta più elevata nel sistema induista, cui era riservato il colore indaco. Ѐ famosa per il magnifico forte Mehrangarh, voluto da un maharaja nel XV secolo. Sorge in alto su uno sperone roccioso, da cui si domina tutta la brulla vallata sottostante, circondato da mura inespugnabili. Al suo interno, racchiude palazzi con arredi di impensabile opulenza, templi, cortili, sculture. Nella città bassa, vige un clima di vertiginosa dinamicità, tutto è in vendita: abiti, monili, spezie, prodotti della terra, foglie di tabacco pronte all’uso, erbe di non chiara provenienza, ma di precisa e illegale destinazione, spesso masticate e tenute in bocca da una miriade di povere figure, scarne in un corpo anzitempo vecchio, nel tentativo di addolcire la vita, di allontanare fame e dolore.

2.continua

Le foto (dall'alto in basso):
Gurudwara Bangla Sahib, flickr.com (CC BY SA 2.O)
Mandawaflickr.com (CC BY NC-ND 2.O)
Jodpurflickr.com (CC BY nnd2.O),

Per leggere la prima puntata cliccare qui