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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

L'ISOLA DI SMERALDO/2

ISOLE ARAN TITOLO

La seconda parte di un viaggio in Irlanda, tra miraggi che compaiono nelle brume oceaniche, festose atmosfere di cittadine variopinte e siti archeologi di epoca preistorica.

RITABARTRientrare dopo un lasso di tempo nella temperie emozionale di un racconto lasciato a mezzo non è semplice per chi scrive e ancor meno per chi legge, purtuttavia mi provo a farlo, cercando di riprendere quel filo narrativo che mi aveva guidato nella precedente esposizione del viaggio nella Repubblica d’Irlanda. Riprendo dall’attraente città di Galway, posizionata nella zona Ovest dell’isola, fronte oceano.
Ѐ questa una conurbazione di discreta misura, si potrebbe dire quasi “grande”, visto che l’intera Irlanda non vanta megalopoli, ma è sostanzialmente fatta di natura, di ampi spazi liberi o di piccoli villaggi. Il nucleo storico presenta qualche bel edificio medievale, vicoli pittoreschi e nuove costruzioni; soprattutto trabocca di vitalità che emerge dai tanti negozi e locali d’incontro. Particolarmente romantica è la passeggiata, The long Walk, lungo il fiume Corrib, di breve percorso ma di imponente e impetuosa portata, che attraversa la città per sboccare nella bFIRMA BARTOLUCCIaia marina. Pescatori di salmoni si dispongono pazienti lungo le rive, in attesa che la preda abbocchi; verso la foce, il colore diventa l’autentico protagonista del paesaggio: si diffonde dalle facciate di piccole case disposte in lunga fila, si flette nell’acqua e risale a decorare artistiche barche lì ormeggiate. Un quadro di autentica serenità!
GALWAYL’immagine idillica nettamente contrasta con quella di un passato compreso tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, quando il porto di Galway era colmo di migranti, costretti a salpare per l’America per sfuggire alla carestia creatasi in seguito alla distruzione, per malattia, del raccolto delle patate, loro fondamentale risorsa alimentare. Scene di tragica miseria che purtroppo sconvolsero aree di tant’altri paesi europei, il nostro compreso, ma che qui assunsero dimensioni catastrofiche.   
Accantonate le tristi riflessioni e ormai in vista dell’oceano, mi consultai rapidamente col fido compagno circa un arduo dilemma: meglio proseguire nel percorso fissato oppure era il caso di avventurarsi sulle isole Aran lì prossime? Superfluo dire che facilmente cedemmo a tale richiamo. E fu così che aggiungemmo viaggio nel viaggio. La scelta si rivelò provvidenziale!
Le isole Aran sono infatti l’essenza della terra d’Irlanda, un autentico condensato di natura e cultura. Poste in faccia a Galway, più che reali sembrano ISOLE ARANmiraggi che compaiono e svaniscono tra le brume oceaniche. Si tratta di tre mitiche terre – le ultime a Ovest prima di raggiungere l’America – dove si va per perdersi e ritrovarsi, immersi in una natura che non distrae ma pone ciascuno di fronte a se stesso.  Alte su un tavolato di grigia roccia profondamente fessurata, battute da forti venti, con villaggi dai tipici tetti di paglia e un intero paesaggio “ricamato” da muri a secco in pietra, fungono da specchio entro cui “vedersi”.
Ci siamo fermati due notti soltanto su una di esse, ma il breve tempo è bastato a fissare ricordi indelebili di musiche, canto del mare e belati di greggi. Un bianco maglione, di grezza lana intrecciata secondo originali disegni del luogo, è la memoria visiva che ancora sbuca fuori da un cassetto del mio guardaroba: troppo caldo per il nostro clima, ma messaggero di emozioni e immagini uniche.
Lasciate le isole Aran e ripreso il percorso costiero oltre Galway, altre meraviglie si sono profilate e soprattutto la spettacolare visione delle Cliffs of Moher: scogliere a picco sul mare, alte più di 200m ed estese in lunghezza per diversi Km. Si tratta di formazioni geologiche stratificate, formatesi nel corso di milioni di anni. Dall’alto la vista spazia lontano e passa dalla sfoglia sottile di verde che le riveste, al blu-grigio del mare e al candore delle spume che contro esse s’infrangono, mentre il volo e il grido di miriadi di uccelli, che lì hanno i nidi, frastornano la mente sottraendola al presente e proiettandola in un primordiale passato. Col cielo plumbeo e il vento che gli si accompagna, l’immagine che se ne riceve si tinge di orrido, che attira e spaventa tanto è intrisa di vita e morte.  
Poco distante dalle Cliffs of Moher, un altro paesaggio di sublime bellezza s’impone alla vista: il Burren. Un vasto tavolato calcareo profondamente inciso per antichissime forze geologiche che l’hanno reso simile a suolo lunare ma, a differenza di quello, non privo di vita. Dalle fessure spuntano piccoli fiori che si nutrono del poco terriccio portato dal vento e ingentiliscono l’asprezza pietrosa. Camminarci sopra è un po’ difficoltoso per il rischio di prendere storte, ma si viene premiati dalle sensazioni che ne derivano e fanno toccare con mano, anzi “con piede”, un ritorno alle origini, alla grezza materia di cui siamo espressione insieme al mondo sul quale ci aggiriamo.
Abbandonata la costa, ci siamo di un poco internati, ma solo per dirigerci più a Sud verso l’ultima penisola da noi visitata: quella di Dingle, che prende il nome dalla cittadina lì ubicata, davvero molto graziosa, quasi festosa con le facciate delle case tinte a sgargianti colori e artistiche insegne che DINGLEpendono dai negozi; con i tantissimi pub, dove si può gustare, accompagnati da musica celtica di antiche ballate, dell’ottimo pesce e crostacei, di fresco portati dai pescatori, che fanno ritorno al suggestivo porticciolo con i loro tesori. Questi sono i centri, che preferiamo alle grandi città, dove la vita scorre tranquilla e si percepisce che i rapporti umani sono forti e una grande cordialità è riservata anche agli stranieri che passano e si fermano. A conclusione di una cena “regale”, abbiamo qui gustato un cremoso irish coffee, rimasto indelebile nella nostra memoria. Abbiamo scelto tale penisola per il territorio fortemente frastagliato che garantiva un susseguirsi di baie e calette dalle sabbie dorate, di cui la più estesa è quella di Inch. Impensabile, almeno per noi, come luogo di bagni per le gelide acque oceaniche, ma splendida per camminarvi e, da vicino, ascoltare il profondo respiro del mare che, talvolta, pare il rantolo cupo di una belva morente.
In questa parte d’Irlanda, il verde dei prati è talmente smagliante d’aver fatto acquisire all’intera isola l’appellativo di terra di smeraldo. Siti archeologici, di epoca preistorica, sono visibili un po’ ovunque per le tante costruzioni a secco in pietra a pianta circolare che contrassegnano il paesaggio. Sono chiamate beehive huts per la loro forma di capanne simili ad alveare e si offrono alla vista incastonate in un sublime paesaggio che diviene un museo a cielo aperto e ricordano il lungo scorrere del tempo segnato dalle opere umane.
Il nostro viaggio nella Repubblica d’Irlanda ha qui avuto termine, non restava che affrontare a ritroso il lungo tragitto del ritorno, anch’esso arricchito da soste piacevoli e interessanti, anche se col rammarico di non aver visitato l’Irlanda del Nord, ma con la racconsolante speranza di poterla conoscere in un prossimo futuro.


Le foto:
Isole Aran nel titolo: Sonia D.S.da Commons.wikimedia
The Long Walk, Galway da Flickr.com
Isole Aran nel testo da Pixabay.com
Burren e Dingle da Commons.wikimedia.org

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