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L'ISOLA DI SMERALDO

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RITABARTL’approdo in Irlanda dopo una crociera d’altri tempi e la scoperta di una terra dai paesaggi potenti, ricca di cultura e di magia. Il fascino profondo di un mondo intriso di leggende.

FIRMA BARTOLUCCIDi una stagione intima, silente, quasi di un altro inverno avevo desiderio in quell’estate torrida, impudica, vociante. Una voglia struggente di nebbie, cieli plumbei, aria pungente, sempre più di me s’impadroniva spingendomi a trovar luoghi dove dar fondamento a quelle bislacche aspirazioni.
Fu così che l’Irlanda venne in mio soccorso! Ma per smentire, di lì a poco, l’immagine scontata che su di essa mi ero costruita. Ne sortì infatti un viaggio all’insegna del sereno e della luminosità, ma privo dell’ottundente calura da cui tanto avevo voluto distanziarmi.
Per ritrosia verso l’aereo, scelsi di giungervi per mare mediante un lungo e felice tragitto in nave della durata di ben 22 ore, dopo aver già percorso in auto una notevole distanza chilometrica per potervi accedere. Partenza dal porto di Le Havre in Francia e approdo a quello di Rosslare. Mai traversata mi è parsa più piacevole e assolutamente non tediosa, forse per l’insolita spaziosità della cabina, per l’agio che ne derivava, per la tranquilla bonaccia delle acque: insomma, una splendida crociera d’altri tempi, senza il superfluo che connota gli edifici galleggianti d’oggi, atti a stupire e stordire. Una nave – fatta com’era anche per guardare il cielo, il mare, il volo dei gabbiani al seguito, e i pensieri che su tutto si rincorrono e riposano – mi conduceva alla scoperta di una terra a me nuova. La quale, sin dallo sbarco, subito mi sorprese per le tante bandierine francesi esposte in ogni dove, specie nelle panetterie ad inneggiare affusolate croccanti baguette, che la dicevano lunga sulle forti simpatie degli Irlandesi verso quella vicina popolazione d’oltremare e le ben poche per i contigui isolani Inglesi; coi quali troppi attriti nel passato – anche recente – erano trascorsi.
Notai con apprensione che gli hotel disponibili, allora, non erano tanto numerosi, e i pochi praticavano prezzi che alle mie orecchie suonavano “stellari”; in compenso alquanto diffuse, capillari e di buon livello erano invece le strutture dei B/B. Verso di queste mi diressi, insieme al compagno di sempre di vita e viaggi. Fummo colpiti dalla calda ospitalità, quasi mediterranea. Sapendoci italiani e volendo mettersi in buona luce, la proprietaria tentò di offrirci a colazione una “invitante” scatola di spaghetti al pomodoro, non rassegnandosi alle nostre semplici richieste di cornetto e cappuccino. Entrammo presto in immediata simpatia, che ci permise di toccare dal vivo lo spirito cordiale ed estroverso di quel popolo. Simile fu pure l’accoglienza ricevuta nei luoghi visitati nei giorni successivi.
Il villaggio di Glendalough è stata la nostra prima tappa: una località dell’interno, ma non molto distante dalla costa orientale e da Dublino, immersa in una valle, circondata da una natura selvatica e protetta da monti, custodi di suggestive rovine di un antico sito monastico, fondato nel VI secolo St. Patricks Parkdall’eremita St. Kevin. L’immagine che ci si è parata agli occhi – considerata anche l’ora dell’imbrunire – è stata d’indescrivibile potenza: un paesaggio romantico in piena regola con i caratteri del “gotico e dell’oscuro”. L’area cimiteriale con le tante croci celtiche, i ruderi del monastero, l’alta torre cilindrica erano presenze così vive da poterne udire la voce sgorgare dal grigio delle dure pietre, nel totale silenzio che vigeva attorno.
Una strana impressione mi è invece rimasta della città di Dublino che, a un primo impatto, mi è parsa triste e dimessa, qual vien fuori dalle pagine del suo illustre scrittore James Joyce in Gente di Dublino, e in ciò ho trovato il suo gran fascino; non riuscendo, all’opposto, a farmi coinvolgere dalla sua nuova veste di città giovanile, dinamica, protesa al futuro, con tutto ciò che di bene e di male comporta. Di essa ricordo con piacere i bellissimi parchi: il Phoenix Park in particolare, per l’immensa estensione che in sé accoglie lo zoo più antico al mondo e la residenza del Presidente dell’Irlanda; il St. Stephens Green, in centro città, anch’esso istituito in un tempo lontano; il St. Patrick’s Park che si sviluppa accanto alla cattedrale di San Patrizio del 1200. Ma l’anima pulsante di Dublino sta nell’intensa vita culturale – di cui le Università sono espressione, soprattutto quella del Trinity College – che nel passato ha prodotto una schiera di artisti di altissimo livello. Ma essa si coglie anche nelle strade e nei quartieri del centro, pullulanti di locali e pub, dove è d’obbligo bere una scura pinta di birra Guinness (qui prodotta) ascoltando suonatori occasionali. In tutta sincerità, non essendo una grande apprezzatrice di tale bevanda, ho in più occasioni – specie al mattino – provato una forte nostalgia per i nostri bar traboccanti di dolcezze e caldi profumi!
Da Dublino, con una rapida traversata interna verso Ovest, tra alti lai per la guida a sinistra in strade piuttosto strette contornate da rovi, rivelatisi ottimi a lasciar “ricordi” sulla fiancata dell’auto, eccoci arrivati alla penisola del Connemara.
ConnemaraЀ questa una zona in cui si coglie il fascino profondo dell’Irlanda: poco abitata, aspra, verde di erbe e scura di torbiere, costellata di piccoli laghi e turriti castelli dall’aspetto ridente e talvolta anche lugubre, a seconda dell’epoca, dello stile architettonico e dello stato di conservazione. Personalmente ho molto apprezzato quelli più deteriorati, solitamente di età medievale, per l’immagine spettrale che da essi proviene e ben si lega a un paesaggio solitario, battuto dal vento e dal mare e intriso di tante leggende, di cui si è fatto originale interprete il grande scrittore dublinese William Butler Yeats nell’opera Fiabe irlandesi, dove fa rivivere i miti e i racconti popolari di tale terra.
Tra i più noti castelli si annovera quello di Kylemore: una fiabesca costruzione, simbolo d’amore, fatta erigere nel XIX secolo da un ricco uomo d’affari inglese in omaggio alla moglie. L’edificio, affacciato sull’omonimo lago e circondato da splendidi giardini, è divenuto in seguito abbazia e dimora di suore benedettine.
La penisola si presenta fortemente articolata lungo la costa, con piccoli villaggi di pescatori e sorprendenti spiagge di candida sabbia, dove ci si può imbattere in pecore dallo sguardo immoto e espressivo che paiono dire a chi guarda: «l’intruso sei tu». Tuttavia l’allevamento ovino non costituisce più la risorsa primaria per la popolazione e la “pecora sul mare” è più in funzione “cartolina” per la gioia dei turisti!
I due centri più importanti sono Clifden a Nord-Ovest e Galway a Sud. Quest’ultimo, posizionato su una grande baia atlantica, è il punto di imbarco meglio servito per visitare le vicine isole Aran, ben visibili dalla costa, ma già proiettate in aperto oceano.      (1-continua)

 

La foto di St. Patrick's Park è di William Murphy (Flickr.com)
La foto del Connemara National Park è Creative Commons (CC BY-SA 4.0)