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I RAGAZZI CHE GUARDARONO IL CIELO

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felicia impastatoVenti anni fa il film I cento passi, di Marco Tullia Giordana, che rievoca l’assassinio di Peppino Impastato e la lotta dei giovani che sfidarono l’omertà con la fantasia, il dolore, l’audacia e allegra disobbedienza.

                                         di ROBERTO LEOMBRONI

Tra le forme di impegno civile legate all’esperienza delle “radio libere”, nella seconda metà degli anni Settanta, si distingue la coraggiosa lotta contro la mafia portata avanti dal giovane Peppino Impastato e dai suoi amici collaboratori di Radio Aut a Cinisi, il suo paese natale, in provincia di Palermo. Figlio di un mafioso di scarsa influenza, alle dipendenze del boss del paese, Tano Badalamenti, Peppino vive a poca distanza (cento passi appunto) dall’abitazione di quest’ultimo, infaticabile organizzatore del traffico di droga tra la Sicilia e gli Stati Uniti. Il giovane cresce, dunque, in un ambiente nutrito di cultura mafiosa. Dopo aver conosciuto un pittore comunista, inizia, però, a militare nella locale sezione del PCI. In perfetta sintonia con lo spirito sessantottino, la sua ribellione colpisce contemporaneamente la mafia, il padre mafioso e, più in generale, la tradizionale cultura dell’omertà. RADIO AUTSuccessivamente, il giovane assume posizioni sempre più radicali e fonda una radio locale (Radio Aut), dalla quale conduce con ironia e sarcasmo (le armi più odiate dai suoi nemici) una tenace battaglia contro la mafia, e in particolare contro Badalamenti. La radio diventa gradualmente il punto di coagulo dell’impegno civile e democratico dei giovani del paese, e rappresenta, al contempo, l’unica alternativa etica e culturale alla solitudine e al degrado che colpiscono la gioventù siciliana e meridionale. Due giorni prima delle elezioni comunali, alle quali Peppino è candidato nelle liste di Democrazia Proletaria, il suo cadavere viene rintracciato lungo i binari della ferrovia: è il 9 maggio del 1978, lo stesso giorno in cui a Roma viene ritrovato il corpo di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse. Tale coincidenza fa sì, MANIFESTOpurtroppo, che la morte del giovane passi quasi completamente sotto silenzio (solo qualche trafiletto di giornale) e che trovi credibilità la versione ufficiale del suicidio.
A Peppino Impastato e alla sua abnegazione nella lotta contro la mafia è dedicato il film I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana. Realizzato in collaborazione con il giornalista Claudio Fava, efficace esempio di cinema politico, esso ha il merito di aver richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica sul personaggio del giovane siciliano, e contribuito alla successiva incriminazione di Badalamenti per il suo omicidio. Servendosi anche del bianco e nero, nella rievocazione dei notiziari televisivi di quegli anni, I cento passi ricorre ad attori in gran parte locali e, con grande scrupolo professionale, attraverso un’accurata individuazione dei luoghi, e l’ascolto di numerose testimonianze, crea scalpore ed entusiasmo nel paesino siciliano, coinvolgendo l’intera comunità, e ottenendo anche un grande successo al Festival di Venezia. Di volta in volta, esso è definito come un film generazionale, una vicenda di conflitto tra figlio e padre, tra individuo e ambiente, tra obbedienza passiva e rivolta vitale. Esso ha anche il merito di richiamare alla memoria (al di là di qualche anacronismo) le immagini e le problematiche degli anni Settanta: le utopie sessantottine, l’attività dei gruppi della sinistra extra-parlamentare, l’uso politico delle “radio libere”, i movimenti del Settantasette, le divisioni nella sinistra. Di particolare effetto emotivo risulta la scena finale dei funerali in bianco e nero, sulle note di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum, con un mare di ragazzi che grida lo slogan “le nostre idee non moriranno mai”.
Nelle intenzioni del regista, I cento passi, più che un film sulla mafia, intende rappresentare l’energia, la voglia di cambiamento, ma anche l’immaginazione e la ricerca della felicità da parte di un gruppo di ragazzi che hanno osato “guardare il cielo” e sfidare l’esistente. Un film che tende anche a sfatare un’immagine negativa della generazione del Sessantotto. Se oggi in Sicilia nessuno può fingere che la mafia non esista, molto si deve al coraggio e all’esempio di persone come Peppino Impastato, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro audace, e al tempo stesso, allegra disobbedienza.  Ciononostante è forte nel film la denuncia della spietatezza del sistema di potere mafioso, che non esita a ricorrere all’omicidio nei confronti di chi lo combatte a viso aperto. Sicuramente chi fondava una radio privata e dileggiava ii poteri forti rischiava ovunque, a Milano come a Roma, un’irruzione della polizia. Ma in Sicilia, il rischio, ben più alto, era quello di una morte violenta.
Altrettanto riduttivo sarebbe valutare il film di Giordana come un film “ideologico”, magari enfatizzando il finale con le bandiere rosse e i pugni chiusi del funerale di Impastato. In realtà, lungi dall’essere un film di propaganda, I cento passi (in cui non manca il riferimento diretto al Rosi di Le mani sulla città) si propone esplicitamente di ricordare che la lotta alla mafia non appartiene a una parte, ma è un dovere di chiunque voglia difendere la propria dignità di uomo libero. Uguale lucidità caratterizza la consapevolezza che la mafia, agli occhi del protagonista, si macchia di un altro un altro terrificante delitto: quella di aver distrutto la bellezza. Molto efficaci risultano in tal senso le parole del critico cinematografico Roberto Escobar (2000):

«Guardando dall’alto d’una collina di Cinisi, giù verso il mare lontano e verso l’aeroporto di Punta Raisi, il protagonista di I cento passi vede i luoghi fisici in cui la mafia prospera e uccide, e insieme vede un luogo dell’anima che finisce per renderla possibile. A tutto ci si abitua, dice a un suo compagno d’impegno civile e umano. Per quanto la cupidigia possa depredare, l’omertà favorire, la rassegnazione consentire, la paura subire, con il tempo tutto appare normale, addirittura naturale. Palazzacci orribili sorgono nel mezzo di periferie squallide e vuote? Ebbene, pian piano uomini e donne li abitano, mettono tendine alle finestre - proprio così dice Peppino, guardando giù, verso l’aeroporto costruito di fianco alla montagna -, e lo stupore eventuale s’attenua, stinge verso il grigio neutro dell’abitudine. Poi, a un certo punto, ogni cosa sembra dover essere così, da sempre e per sempre. Ecco perché bisognerebbe insegnarla davvero, la bellezza, a quegli uomini e a quelle donne: perché lo stupore resti ben vivo, perché nell’abitudine non ne vada dissipata la forza».

Grazie a I cento passi, la storia di Peppino Impastato è diventata oggetto di discussione e impegno civile nelle scuole, nelle università e nelle associazioni culturali di tutta Italia.

Della colonna sonora del film di Giordana fa parte l’omonima canzone I cento passi, composta dal gruppo musicale Modena City Ramblers:

“Sei andato a scuola? Sai contare?” “Come contare?” “Come contare? 1,2,3,4, sai contare?” “Sì,so contare” “Sai camminare?” “So camminare” “E contare e camminare insieme lo sai fare?” “Sì! Penso di sì!” “Allora forza! Conta e cammina! Dài...1,2,3,4,5,6,7,8...” “Dove stiamo andando?” “Forza! Conta e cammina!...90,91,92,93,94,95,96,97,98,99 e 100! Lo sai chi ci abita qua? Ah? U zù Tanu ci abita qua!!” “Cento passi ci sono da casa nostra,cento passi!”.

 E’ nato nella terra dei vespri e degli aranci,
tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio.
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia che lo portò a lottare.

 Aveva un cognome ingombrante e rispettato,
di certo in quell’ambiente da lui poco onorato.
Si sa dove si nasce ma non come si muore
e non se un ideale ti porterà dolore.

“Ma la tua vita adesso puoi cambiare
solo se sei disposto a camminare,
gridando forte senza aver paura
contando cento passi lungo la tua strada”.

Allora…1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100
passi! “Noi ci dobbiamo ribellare”.

Poteva come tanti scegliere e partire,
invece lui decise di restare.
Gli amici, la politica, la lotta del partito…
alle elezioni si era candidato.

Diceva da vicino li avrebbe controllati,
ma poi non ebbe tempo perché venne ammazzato.
Il nome di suo padre nella notte non è servito,
gli amici disperati non l’hanno più trovato.

“Allora dimmi se tu sai contare,
dimmi se sai anche camminare,
contare, camminare insieme a cantare
la storia di Peppino e degli amici siciliani”.

 Allora…1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100 passi!...1,2,3,4,5,10,100
passi! ( 2 volte).

Era la notte buia dello Stato italiano,
quella del nove maggio settantotto.
La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro,
l’alba dei funerali di uno Stato.
“Allora dimmi...

Allora…

“E’ solo un mafioso, uno dei tanti”. “E’ nostro padre”. “Mio padre! La mia famiglia! Il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare!”.