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UNA FANTASTICA STORIA DELLA MUSICA

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VINCIGUERRARemo VinciguerraUna fantastica storia della musica, raccontata ai ragazziEdizioni Curci, Milano, pp. 352, € 23,00.

Recensione di              
NICOLA RANIERI

Fantastica. In quanto allude a meravigliosa, fatta in maniera da suscitare emozioni inconsuete e gradevolmente intense. Perché – pur basata su una razionale cronologia, su notizie biografiche e avvenimenti storici – essa narra vite, elementi e contesti trasfigurati dall’ordinario in straordinaria esemplarità eccezionale; in meraviglioso, appunto. Perciò è molto di meno e molto di più di una normale ricostruzione storica documentata e rigorosa. Che per l’autore non esprimerebbe (essa soltanto) quello che sente fortemente di dover dire. Nell’introduzione, non a caso, definisce “strampalato” questo suo libro, ossia esorbitante da ciò che normalmente ci si aspetta da un testo di storia. Infatti presenta una certa dose di estemporaneità, tale da lasciare ampio margine all’improvvisazione creativa. Si tratta, pertanto, di una vera e propria composizione contrappuntistica, secondo un ordito polifonico. Molte voci vi concorrono in armonia: per assonanza e quasi all’unisono, oppure stridenti per contrasto dialettico. Fra di esse discutono, domandano, rispondono. Ora in forma narrativa (quella de Lo storico racconta, a cura di Monique Cìola) o di saggio critico nonché di salace invettiva contro il nostro tempo. Ora poetica, satirica, teatrale. Ora iconica (quella delle bellissime illustrazioni realizzate da Chiara Lorenzini). Ora in forma di elenco ragionato di strumenti, di generi musicali e di citazioni o di epigrafi. Ora infine, ma non da ultimo, di temi e pensieri di giovanissimi allievi. 

L’insieme delle voci sembra una musicale partitura letterario-drammaturgica, aperta a una possibile messa in scena in una sorta di teatro totale. Ovvero una composizione in cui, più del rigore scientifico e della fedeltà ai testi – che pure non mancano – , risalta la creazione artistica venata di umorismo, di leggerezza e diletto commisti a un superiore atteggiamento ironico, distaccato e partecipe, nei cofronti della materia trattata. Resa lieve e insieme profonda, alla luce di uno sguardo che vede e sente l’intera storia della musica quale simultaneo convivere di passato, presente e futuro; fra di essi reciprocamente richiamantisi in un proficuo dialogo continuo. Non molto diversamente da quella commistione di epoche e stili musicali dei quali è intrisa la poetica che anima gli altri lavori di Remo Vinciguerra: i numerosissimi libri didattici pubblicati in un trentennio, come pure le sue composizioni e il modo di eseguirle. Tutto nasce in lui da un intimo rapporto con la musica, da una struggente nostalgia infinita, dalla sehnsucht presa in parola; dalla brama appassionata di assoluto e di inesausta ricerca dell’Io: anima stessa del romanticismo tedesco, di quello musicale soprattutto, che ne è l’emblema. E di cui questo libro trabocca. Perché considera, entro la totalità della storia della musica, l’Ottocento il secolo d’oro e la corrente romantica quale vetta espressiva della potenza sentimentale dell’Io.

Sembra un paradosso ma non lo è. Più intimo diviene il rapporto con la musica e più la composizione pare assumere un volto, per così dire, “extramusicale”. Talché, invece di essere fine a se stessa, si carica d’altro: vorrebbe esprimere il desiderio di desiderio, la volontà di potenza dell’Io. Perciò è spinta a superare generi, regole, stili; le divisioni tra le arti, per poi cercare di ricomporle tutte in arte totale.

La «soggettivazione dell’arte», in quanto fondamentale tappa storica dell’esaltazione dell’individuo, muove sia le composizioni di Remo Vinciguerra sia questa Storia della musica, che è una sorta di apologia del romanticismo. Eppure, nulla gli è più lontano degli estremi approdi del romanticismo. Rifiuta, infatti, tanto il misticismo sensuale di Wagner quanto gli esiti postwagneriani e quanto, a maggior ragione, le poetiche di alcune avanguardie novecentesche – derivanti proprio dalla rivolta romantica – nelle quali l’individuo rimane sì al centro di tutto, ma come dolorosa coscienza della crisi. Soprattutto egli rifiuta la tendenza all’aridità, a cui la coscienza della crisi spesso conduce come estremo approdo. La rifiuta in nome della ascoltabilità della musica, della semplicità non ingenua ma autentica. Così come era avvenuto agli inizi dell’Ottocento, in particolare nello Schumann delle composizioni pianistiche per bambini, con una forte carica rappresentativa e con uno scopo eminentemente educativo.
In quest’ottica Vinciguerra sembra esaltare il romanticismo, non nei suoi esiti decadenti o di sperimentale aridità intellettualistica fine a se stessa, quanto piuttosto nelle sue precondizioni, nel suo stato nascente – in Beethoven soprattutto. Ma anche spingendosi a considerare preromantico Mozart o addirittura Bach le cui radici affondano nei precedenti secoli di monodia e polifonia. E può compiere una operazione così spericolata perché, alla luce del romanticismo, riscopre e non disconosce la forza della tradizione, la grandezza dei maestri del passato. Tant’è che questa Storia della musica presentifica il passato secondo un personalissimo punto di vista, uno stile didattico e compositivo di cui essa è enunciazione teorica, associata a una visione della storia e del mondo nel segno, non della professoralità saccente, ma della creatività e dell’umorismo che combinano – in una sorta di opera totale – le voci più diverse di cui la narrazione delle vicende storiche si compone. Destinatari sono i ragazzi o coloro, anche di altra età, che vogliano apprendere, oppure magari semplicemente siano interessati all’ascolto guidato della musica (il libro indica innumerevoli brani da ascoltare quali esempi indissolubilmente legati al racconto che nei diversi capitoli si viene svilluppando). E ciò trova la sua scaturigine ideale proprio nelle parole – poste in forma di dedica – che aprono Il clavicembalo ben temperato: «Alla gioventù studiosa e musicale, e, ancora, a ricreazione di coloro che siano già versati nella musica», o (si può aggiungere) vogliano accostarvisi. Questo basta per fare di Bach un preromantico? Sì, poiché Vinciguerra considera il romanticismo non tanto quale fenomeno storico tra gli altri, quanto piuttosto un valore che quasi non ha tempo (quel che si dice “romanticismo perenne”). E soprattutto, Bach – uno dei più grandi didatti della storia della musica – viene da lui eletto a inarrivabile modello di educatore (musicale ma non solo) il cui fulgido esempio si riassume, appunto, ne Il clavicembalo ben temperato: una sintesi semplificata anche della sua arte della fuga.
A un tale magistrale modello Vinciguerra si ispira. Tutti i suoi libri, compreso questo, ricercano la semplicità affinché i giovani, e pure gli adulti, possano imparare a muovere i primi passi musicali e a crescere in sensibile e razionale capacità di esprimere se stessi. Convinto com’è – con Friedrich Schlegel – che «l’artista né può dominare né servire, ma soltanto educare»; e che l’arte educa all’arte, egli vede la vita di un insegnante confluire in altre vite.

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