Nel mentre le intelligenze artificiali aprono scenari e problemi inediti all’umanità e vengono messi in gioco il ruolo stesso dell’uomo nel controllo del proprio destino e la possibilità di vita e di lavoro per le popolazioni del pianeta, i “politici” ci intrattengono sui contenuti delle proprie colazioni e sui loro personali turbamenti esistenziali. Urge svegliarsi dal sonno mediatico.
di NANDO CIANCI
Non sappiamo se e quando si avvererà la “profezia” del filosofo Emanuele Severino, secondo cui un giorno «saranno le macchine a compiere ogni forma di lavoro, tutti saranno filosofi». Di sicuro, quale che ne sia l’esito, il rapporto fra tecnica e politica è complesso ed intrigante: da strumento usato per la lotta fra diverse ideologie, la prima si sta trasformano in fine dell’agire umano e tende unicamente ad affermare la propria potenza. Ce ne vorrà, dunque, prima che anche la tecnica, come tutti i domini che nella storia l’hanno preceduta, venga oltrepassata e l’uomo, liberato dal lavoro manuale, avvii una nuova stagione della sua presenza nel mondo. Ammesso che sia ancora possibile. Nel frattempo, però, possiamo vedere come da tempo si vadano delegando ai prodotti della tecnica (e segnatamente alle “intelligenze artificiali”) funzioni e attività che essi gestiscono, per così dire, meglio dell’uomo. O, almeno, che consentono a quest’ultimo di faticare di meno e di correre meno rischi. Sono innumerevoli gli esempi che in tal senso si potrebbero fare: dai compiti più grossolani, come l’abbattimento (speriamo di un numero sempre minore) di alberi a quelli più sofisticati, attinenti ad esempio alla robotica chirurgica. Fino all’impiego in operazioni pericolose, come nel caso del robot Colossus, che ha preceduto, con il suo potente getto d’acqua, i pompieri parigini tra le fiamme di Notre Dame.
Una espansione crescente, alimentata, in molti campi, dalla convenienza economica: per esempio la robotica appare conveniente in fabbrica, per sostituire la manodopera umana, mentre perde il confronto con il bracciantato per la raccolta dei pomodori, dove, per chi depone ogni scrupolo umanitario, risulta fonte di maggiore ed immediato profitto sfruttare spietatamente gli immigrati.
La progressiva sostituzione del lavoro umano (manuale e progettuale) con quello delle intelligenze artificiali apre un mare sterminato di problemi. Quelli occupazionali, per iniziare, determinati dal fatto che una sola macchina può sviluppare energia pari a quella di molte persone e dal fatto che vanno prendendo piede macchine capaci di autoprogrammarsi, togliendo spazio anche a lavori (di ideazione e progettazione) solo di recente venuti alla ribalta. Vanno, inoltre, scomparendo a decine mestieri tradizionali, mentre altri sono messi a rischio dall’ingresso della robotica in ogni campo: basti pensare alle macchinette che hanno già sostituito le biglietterie nelle stazioni ferroviarie e che vanno soppiantando i cassieri nei bar, nei supermercati, in certi ristoranti. E già si parla di droni per la consegna dei pacchi a domicilio. Ognuno può, facendovi attenzione, scoprire esempi concreti nella propria esperienza quotidiana. E può immaginarne ancora di più. Una certa quantità di sostituzioni della macchina all’uomo è probabilmente inutile e, in qualche caso dannosa. Può far perdere, ad esempio, capacità intellettive e manuali che solo l’esercizio potrebbe mantenere in vita e fare, così, scomparire dal bagaglio umano capacità e conoscenze. Ma nella gran parte dei casi si tratta di innovazioni utili per fare meno fatica, per assicurarsi maggiore precisione, per risparmiare vite umane. E, dunque, per l’occupazione occorre aprire strade nuove. Un altro dei grandi problemi che si aprono riguarda l’etica: è possibile, come sostengono per primi proprio gli scienziati che si occupano di essa, che l’intelligenza artificiale sfugga al controllo umano e metta addirittura a rischio, in prospettiva, la sopravvivenza della specie. Sono problemi che, anche volendoli spogliare da ogni posizione apocalittica, richiedono una attenzione massima da parte di tutti ed una elevatissima consapevolezza e capacità culturale e politica da parte di quanti sono chiamati a prendere decisioni che riguardano tutti. A reggere, come si dice, la cosa pubblica. Problemi che richiedono il concorso di molti aspetti dell’attività, della riflessione e delle capacità umane: l’ecologia, l’economia, l’etica, la sociologia, la filosofia, l’arte. Il cammino materiale e spirituale. Insomma una mobilitazione straordinaria di quanto l’uomo ha saputo conoscere ed elaborare in millenni. Ed esigono nuove elaborazioni che da questa tradizione plurimillenaria scaturiscano per metterci in grado di affrontare sfide mai conosciute prima, dall’altezza vertiginosa. Ti immagineresti, pertanto i governanti impegnati a mobilitare tutte le energie dei rispettivi paesi per affrontare problemi così ardui, per trovare la strada per utilizzare a beneficio dei cittadini la liberazione degli stessi dai lavori più gravosi, per stimolare la fantasia nell’invenzione di nuovi lavori. E quindi te li immagineresti immersi tra legioni di economisti, di intellettuali, di lavoratori che portano la propria esperienza, di cittadini che chiedono e, soprattutto, propongono. Macché. A livelli planetari li vedi impegnati allo stremo delle forze per opporre alla caduta vertiginosa delle professioni e dell’occupazione la costruzione di muri per impedire l’accesso, nei territori amministrati, di altre parti dell’umanità. Come voler fermare l’avanzata di divisioni corazzate con una pistola ad acqua. A livello più nostrano li vedi intrattenere gli elettori sull’aver mangiato con soddisfazione pane e cioccolata a colazione, posare con fucili in mano per suggerire subliminalmente (e, si spera, involontariamente) soluzioni spicciole a problemi di convivenza o di ordine pubblico, aggirarsi freneticamente tra fiere e sagre, sfibrarsi in tournée di comizi e in ore di selfie con i propri tifosi. Al massimo informare l’umanità dei propri turbamenti esistenziali. Distratti riguardo all’avvenire del mondo, presenziano i social per catturare aspirazioni diffuse e riversare messaggi rassicuranti ed oppiacei. Il pianeta può andare alla malora, purché il breve volgere della loro stagione politica sia accompagnato dal consenso.
Il quale, al momento, sembra loro arridere, frutto di un sonno mediatico dal quale urge svegliarsi.