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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

IL POSTO DELLE MANDORLE

ROBERTOMezzo secolo fa, ad Avola, due braccianti vennero uccisi a colpi di mitra. Con i proprietari terrieri arroccati nella difesa di trecento lire. La drammatica conclusione del 1968.

                                                  di ROBERTO LEOMBRONI

 

2 dicembre 1968. Cinquant’anni fa. La polizia torna a sparare contro i lavoratori. Dopo venticinque anni di lotte sindacali in Sicilia. A ventun anni dalla strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947). A otto dai morti di Palermo e Licata, caduti durante la protesta contro il governo Tambroni (luglio 1960). Per non parlare delle vittime della mafia, a cominciare dal sindacalista Salvatore Carnevale, assassinato a Sciara (Palermo) nel maggio del 1955.
Stavolta l’eccidio è consumato in provincia di Siracusa. A pochi chilometri da Catania. Una città in cui si è sviluppato, nei mesi precedenti, un vivace dibattito politico-culturale attorno a Giovane Critica, una delle principali riviste del movimento studentesco. AVOLAAvola è un grosso borgo vicino al mare. Una prospera cittadina, a pochi chilometri dal capoluogo di provincia, al centro di una ricchissima zona di orti e di agrumeti. Nota soprattutto come il “posto delle mandorle”, a causa dei dolcissimi frutti prodotti nel suo territorio. Purtroppo, da quel 2 dicembre, il suo nome evocherà ben più tristi scenari. Quel giorno, nel corso di una manifestazione, due braccianti sono ammazzati, a colpi di mitra, durante un blocco stradale. Giuseppe Scibilia, quarantasette anni, di Avola. Angelo Sigona, di ventinove, di Cassibile. Il paese in cui, nel settembre del ’43, il generale Castellano aveva firmato l’armistizio con gli alleati anglo-americani. Un altro bracciante, Giorgio Garofalo, di Avola, trentasette anni, è in fin di vita, con tredici pallottole in corpo. Si salverà grazie a tre successive operazioni. Da dieci giorni, i braccianti agricoli aderenti a Cgil, Cisl e Uil hanno deciso d’intraprendere una grande azione unitaria L’obiettivo è quello di ottenere una paga uguale a quella dei loro compagni di un paese vicino. Vogliono solo trecento lire in più. In una provincia in cui, nonostante lo sviluppo di una florida agricoltura, che impingua le tasche dei proprietari terrieri, il reddito medio pro capite è tra i più bassi d’Italia. All’azione partecipano con consapevolezza tutti i sindaci dei paesi coinvolti, socialisti, democristiani, comunisti. Di fronte al rifiuto padronale della trattativa, i braccianti in sciopero innalzano blocchi di pietre nelle strade provinciali di accesso ai paesi, sperando in tal modo di attirare l’attenzione del governo. Il prefetto di Siracusa reagisce, convocando il sindaco socialista di Avola, Danaro, e invitandolo a intervenire, con tanto di fascia tricolore, perché intimi la rimozione dei blocchi e il ripristino del traffico. Il sindaco risponde con fermezza che avrebbe sì indossato la fascia tricolore, ma per unirsi agli scioperanti e chiedere alla polizia di abbandonare il paese. Di fronte a novanta poliziotti, armati di mitra e bombe lacrimogene, i braccianti, in preda all’esasperazione, reagiscono con un lancio di pietre. Una prima scarica di bombe investe il gruppo degli scioperanti. Il gas, però, invece di intossicare gli operai, trasportato dal vento, s’indirizza contro gli stessi poliziotti, contemporaneamente investiti da una seconda sassaiola. Intanto altri braccianti accorrono, dal paese e dalle vicine case coloniche, a dare man forte ai loro compagni. I poliziotti, nel timore di essere sopraffatti, perdono la testa. E qualcuno comincia a sparare. I braccianti si danno alla fuga. Gli stessi poliziotti, dopo aver fermato una decina di persone e smantellato il blocco stradale, abbandonano la zona e il centro di Avola. Consapevoli delle reazioni che la loro presenza potrebbe scatenare. In paese la vita si ferma. I negozi abbassano le saracinesche in segno di protesta e di lutto. Chiudono le due sale cinematografiche. Una folla silenziosa occupa la piazza principale, dove il sindacalista Agosta ha appena tenuto un comizio per la Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure un agente. Il questore di Siracusa, Vincenzo Politi, in seguito alle rituali deplorazioni ufficiali, è destituito. Il segretario regionale del Psi, Lauricella, la Uil siciliana, i socialisti della Cgil siciliana inviano un telegramma ai loro compagni impegnati nelle trattative di governo, chiedendo, come condizione irrinunciabile della partecipazione del partito di Nenni a una nuova coalizione di centro-sinistra, l’immediato disarmo della polizia. Richiesta, tra l’altro, già in precedenza avanzata da Vito Scalia, segretario confederale della Cisl (e originario della zona di Avola). Richiesta puntualmente respinta.
I fatti di Avola scatenano un’ondata di proteste in tutta Italia, dal nord alla Sicilia. Incomincia a farsi strada, in vasti settori del movimento sessantottino e dell’opinione pubblica, l’idea che, di fronte alle nuove strategie di lotta adottate dai settori sindacali più avanzati, lo Stato “borghese” stia rivelando il suo vero volto autoritario e repressivo. Di qui l’esigenza di “alzare il livello dello scontro”. 
La protesta studentesca, in particolare, comincia a individuare i propri bersagli nei luoghi di divertimento frequentati dalla ricca borghesia. Il 7 dicembre, la sera di S. Ambrogio, circa duecento studenti inscenano una spontanea manifestazione di protesta davanti alla Scala di Milano, in occasione della “prima” del Don Carlos di Giuseppe Verdi. Uova e pomodori sono lanciati contro il pubblico agghindato e impellicciato. La manifestazione, che non prevede azioni violente, è stata indetta per protestare contro l’eccidio di Avola. Essa è però diretta anche contro uno dei miti della borghesia milanese. Che, a fronte della miseria che ancora investe diverse aree del Paese, si distingue per l’ostentazione e lo sperpero delle proprie ricchezze. Un posto di platea alla Scala costa, infatti, più di un anno del pre-salario di uno studente. La stampa, il giorno dopo, attacca violentemente i contestatori. Rei di aver offeso la cultura e profanato il tempio della musica. Il movimento comunque raggiunge il suo obiettivo. La foto del poliziotto che accompagna una signora con la pelliccia di visone imbrattata di uova fa il giro del mondo. Dopo quella protesta, per qualche anno, la cerimonia d’inaugurazione della “prima” alla Scala sarà prudentemente evitata.
Il 1968 si chiude in maniera drammatica. La notte di S. Silvestro, Potere Operaio e alcuni gruppi anarchici organizzano una manifestazione di protesta contro i fatti di Avola davanti alla Bussola, locale mondano di Viareggio. Circa quattro-cinquecento giovani, provenienti da Pisa e da località vicine, creano un blocco stradale, gridando slogan e lanciando uova marce contro i “padroncini” che si recano nel locale per divertirsi. Accusati dai contestatori di totale insensibilità nei confronti del tragico evento accaduto nella città siciliana. In seguito all’intervento di carabinieri e polizia, gli studenti innalzano barricate, usando le imbarcazioni trovate sulla spiaggia e il legno delle cabine. Al lancio dei lacrimogeni da parte dei poliziotti, essi rispondono con i sassi. Un colpo di pistola sparato da un carabiniere dal proprio autoblindo colpisce la clavicola di uno studente–lavoratore pisano, Soriano Ceccanti, forandogli un polmone. Pur riuscendo a salvare la propria vita, il giovane rimarrà per sempre paralizzato.

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