Questo sito utilizza i cookies per migliorare l'esperienza utente. Continuando la navigazione accetti l'utilizzo.

PASOLINI, I POLIZIOTTI E IL POPULISMO

Stampa

ROBERTOUna lettura critica dell'invettiva pasoliniana contro gli studenti dopo la "battaglia di Valle Giulia" del 1 marzo1968. L'insidia del populismo nei suoi versi.

                          di ROBERTO LEOMBRONI

Cinquant’anni fa, il 2 febbraio 1968 la contestazione studentesca in Italia culminava nell’occupazione dell’Università di Roma. Su esplicita richiesta del rettore di quest’ultima, il professore di diritto ecclesiastico Pietro Agostino D’Avack, il 29 febbraio millecinquecento agenti di polizia entravano con numerosi automezzi nel piazzale della Sapienza, imponendone lo sgombero. Gli studenti reagivano lanciando sassi e mattoni contro i poliziotti. Allo sgombero seguivano violenti scontri in Via Nazionale. Nel corso dei quali una jeep della polizia investiva e feriva gravemente un giovane. La mattina del 1° marzo un corteo di duemila persone partiva da Piazza di Spagna. Erano in maggioranza universitari. Ma c’erano anche studenti medi e alcuni intellettuali simpatizzanti del movimento. Tra i quali Mario Tronti e Alberto Asor Rosa. Al di là della volontà degli stessi organizzatori, il corteo culminava in uno scontro violento tra gli studenti, armati di sassi, e un centinaio di poliziotti. Dopo aver rovesciato i camioncini della Celere, i primi riuscivano a sfondare il cordone di polizia, riconquistando la facoltà. Quella che verrà chiamata “la battaglia di Valle Giulia” diveniva un simbolo per il movimento studentesco, non solo in Italia ma in mezza Europa. Essa infatti, dimostrando che la polizia può essere sconfitta, inaugurava la lunga stagione degli scontri di piazza. La reazione iniziale dei docenti nei confronti della protesta studentesca era stata nettamente negativa. Ma, a mano a mano che il movimento cresceva, anche il fronte dei professori si rivelava meno monolitico di quanto sembrasse. Da una parte emergeva una fascia di docenti progressisti, più o meno solidali con la rivolta. Tra loro, il linguista Tullio De Mauro, il matematico Lucio Lombardo Radice e lo storico e critico d’arte Giulio Carlo Argàn. In posizione ostile nei confronti degli studenti si schierava invece un gruppo di docenti moderati, tra i quali si distinguevano noti giuristi e storici come Arturo Carlo Jemolo e Rosario Romeo. Ma le critiche nei confronti degli studenti venivano anche da un intellettuale di sinistra come Pier Paolo Pasolini. Il quale, subito dopo la battaglia di Valle Giulia, aveva scritto una violenta requisitoria poetica (Il PCI ai giovani) contro gli studenti che avevano “facce di figli di papà” e combattevano contro i poliziotti, “figli di poveri”, ai quali andava la sua solidarietà.
PASOLINILa posizione del grande scrittore friulano merita, a mio avviso, qualche considerazione. Pur contenendo, a mio avviso, qualche elemento di verità, essa appariva fortemente ingenerosa nei confronti degli studenti del movimento. Chi ha vissuto quegli eventi ricorderà sicuramente che, specialmente nelle realtà periferiche di provincia, non molti erano “figli di papà”. Mi permetto anzi di ricordare la partecipazione ai cortei degli studenti medi (anche negli anni immediatamente successivi al ‘68) di numerosi ragazzi provenienti dai ceti medio - bassi (operai e contadini). Che lottavano coerentemente per il diritto allo studio. Contro la “scuola di classe”. Un’altra riflessione merita anche l’eccessiva enfatizzazione, operata da Pasolini, nei confronti di quel termine (“figli di poveri”) usato per definire i poliziotti. Qui traspare un’evidente inclinazione “populista” dello scrittore. Essere “figli di poveri” (o “figli del popolo”) non comporta necessariamente un giudizio di valore positivo. La storia ci insegna infatti che molto spesso la manovalanza dei movimenti reazionari (dal sanfedismo di fine ‘700 al fascismo e al nazismo) sia stata costituita da “figli del popolo”. Disoccupati, sottoproletari, contadini poveri… Ingaggiati per reprimere moti rivoluzionari e progressisti. Gli stessi poliziotti difesi da Pasolini, nell’immediato dopoguerra, erano stati spesso utilizzati (si pensi agli anni del ministro Scelba) contro altri “figli del popolo”. Operai in sciopero o contadini che occupavano le terre. Lasciando numerosi morti sul selciato. Dunque l’appartenenza al “popolo” non costituisce di per sé una garanzia di egualitarismo e di inclinazione alla giustizia sociale. Evidentemente lo spartiacque passa tra un “popolo” che ricerca la propria emancipazione culturale (modelli luminosi: Giuseppe Di Vittorio o i lavoratori che, nei primi anni ’70, utilizzavano le 150 ore per il diritto allo studio allo scopo di accrescere la propria cultura) e un “popolo” che si crogiola nella propria ignoranza. Magari perseguendo l’unico obiettivo di accrescere i propri consumi. E rimanendo inesorabilmente “massa di manovra” dei peggiori progetti reazionari.

Tags: , , ,