Gli chiedevano
-quando gli chiedevano-
cose di nessun conto.
Del resto, cosa possedeva?
Cosa aveva mai fatto
se non indicare
le luci, le parole,
i tramonti, le fisarmoniche,
i respiri nascosti della notte
tra le vecchie case del tempo?
O i passi di carezza dei gatti,
le luci profonde della valle
e quelle lievissime
dei colli lontani
che nell’ora notturna
salivano al cielo
come stelle dimentiche,
angeli, annunci, sospiri,
parole metafisiche,
straziati canti d’infinito?
Che ne avevano fatto?
Lo si poteva trovare al mercato, lui,
confuso tra la gente,
o dietro un povero tavolo
sul quale aveva disposto
certi piccoli oggetti:
pettini d’osso, forcine per capelli,
fogli di carta velina colorata
ed un’armonica a bocca, azzurra,
con dentro i cieli stellati
di un vecchio presepe.
Taceva.
Un silenzio che nessuno udiva.
Tranne, forse, l’olmo
-che di nascosto, nelle notti d’inverno,
lo affidava alla terra.