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 NewsLetter 

Blog collettivo fondato e coordinato da Nando Cianci - Anno VIII   -  2024

L'AMICIZIA (TRA I GENERI)

eideLa storia ci narra soprattutto di amicizie "maschili", riservando alla donna una dimensione dimessa e idealizzzata, o intrappolata nel meccanismo della seduzione. Ma un rapprto tra persone di diverso genere è possibile con una rilettura dei ruoli femminili e maschili.

                                  di EIDE SPEDICATO IENGO

Spesso ci si domanda se sia possibile l’amicizia tra gli uomini e le donne. Se dovessimo rifarci a quanto tramanda la storia dovremmo rispondere negando tale evenienza. I principi e i doveri che sostenevano questo sentimento -sottolineandone la qualità di virtù solidale, selettiva, elettiva, gratuita, lontana dal gioco degli obblighi e dei ricatti- domandava invariabilmente l’eguaglianza come principio per esprimersi. Nella sua veste di sentimento costante, inossidabile, mai geloso, mai sazio, l’amicizia per dirla con il Laelius di Cicerone («[…] non enim debent esse amicitiarum sicut aliarum rerum satietates»[1]) non ammetteva dislivelli, esigeva una comunicazione fra pari e nutrendosi di reciprocità, affinità, simmetria, coinvolgeva la fiducia, la consuetudine, la sincerità d’espressione, la solidarietà nel bene e nel male. 
   Dati tali presupposti l’amicizia difficilmente avrebbe potuto coinvolgere anche la donna: i modelli di socializzazione e l’apparato educativo fortemente differenziati per i due sessi non potevano orientare verso quell’intesa comune, quella complicità fra eguali, quel rapporto razionale che consente la condivisione di una medesima idea, di una stessa emozione, di un comune sentire procedendo fianco a fianco, spalla a spalla senza guardarsi necessariamente negli occhi (come invece avviene fra chi nutre un sentimento di amore). Perciò, per queste sue qualificazioni, l’amicizia ha tratteggiato nel passato l’insularità di un mondo declinato fondamentalmente al maschile[2]. Ne sono prova le celebrate immagini delle coppie altolocate della fede, del mito, dell’avventura: si pensi a Davide e a Gionata, a Teseo e a Piritoo, a Ulisse e a Diomede, ad Achille e a Patroclo, a Oreste e a Pilade, a Enea e ad Acate, a Eurialo e a Niso, e poi ad Artù e a Lancillotto, a Rolando e a Oliviero, a Cloridano e a Medoro.
  Sentimento “per uomini” e “fra uomini” l’amicizia, pur delimitando il perimetro dell’affetto di un genere, in talune specifiche circostanze si apriva anche al secondo sesso. In epoca pre-moderna, per esempio, veniva suggerita ai coniugi in veste di “farmaco” per contenere il godimento dei sensi che avrebbe reso il marito un adultero e la moglie una prostituta, oppure in veste di “rifugio confortante” quando la vecchiaia si approssimava e la tensione amorosa si allentava. Così, come modello di buon amore coniugale, come “amore buono” (alternativo alla passione) la nozione di amicizia si dilatava: per un verso si stemperava e illanguidiva, anemizzando la vitalità tutta carnale della sensualità; e, per un altro verso, cospirava contro le tentazioni e gli anarchismi della libido, contenendola e sublimandola in nome di un sentire più mistico e nobile. 
   Su queste basi l’amicizia si inscriveva in una dimensione binaria disponendo di due vocabolari: uno maschile e uno pensato per comprendere anche la donna, stabilendo per le due metà del genere umano un doppio modo di leggere, interpretare, vivere questo sentimento. La versione più unitaria, compatta, esplicita che supponeva una complicità fra eguali era di pertinenza maschile, quella più dimessa e idealizzata piegava verso la realtà femminile. La storia, non casualmente, ha registrato un preciso universo di uomini che si frequentavano tutta la vita, allacciavano parentele spirituali ed emotive, si aprivano in simultanea alla conoscenza, alla competizione intellettuale, alla sessualità, alla politica[3] o impiegavano il loro tempo nell’avventura: si pensi alla letteratura picaresca. Ma non altrettanto prodiga è stata nei confronti della donna che, socializzata all’ineguaglianza alla comunicazione distorta e inautentica, non poteva che eccezionalmente avvicinare e assaporare il gusto di questo sentimento così singolare.
   Singolare non solo perché non presenta una base biochimica, non produce aritmie, né l’imbarazzo di un rossore o di uno sbiancamento; non solo perché è «il meno istintivo, organico, biologico, gregario ed indispensabile degli affetti»[4], ma soprattutto perché per esprimersi deve disporre di precisi requisiti: di un contesto che lo alimenti, di un orientamento culturale che lo supporti, di un’iniziazione che lo incoraggi. Di qui verosimilmente la parsimonia e la cautela con cui l’amicizia ha attratto nella sua zona il secondo sesso e questo a dispetto e nonostante la diffusa tradizione che riteneva le donne esperte nei sentimenti e finemente addestrate a filtrare la fitta ragnatela delle emozioni. Era difficile, perciò, che l’amicizia potesse coinvolgere il mondo femminile: vuoi per l’assenza o la rarità delle prassi che ne supportavano l’espressione (ovvero l’iniziazione, l’apprendistato, l’approvazione come di accennava), vuoi per la presenza di quel dettato che orientava ogni risorsa femminile in direzione della seduzione, ossia di quell’imperativo categorico che orientava all’obiettivo di «desiderare di essere desiderate»[5]. Va da sé che una volta innescato questo meccanismo-trappola che obbligava a simulare e a dissimulare e ad attendere passivamente, l’eventualità di dar vita all’amicizia (nell’accezione qui proposta) era praticamente impossibile.
   Piuttosto fu l’incontro fra intelletti, lo scambio di idee, i piaceri dell’intelligenza che, incrinando gli schemi prescrittivi che intrappolavano la donna nella logica della diseguaglianza e della minorità, posero le basi per l’amicizia fra i due generi. Quantunque in settori ristretti dell’élite, fu la cultura a costituire la chiave d’accesso per favorire questo sentimento e coinvolgere i due sessi in un cammino comune. Ovviamente non tutte le donne erano educate ad aprire le porte della stanza proibita della stima e dell’affermazione di sé; non tutte erano appassionate, fiere, eccentriche, capaci di far da interlocutrici nel discorso maschile. Non tutte si chiamavano Christine de Pizan o Maddalena Scrovegni, né godevano di reputazione come Mme de Sévigné o Mme d’Epinay, né discutevano con gli intelletti più eminenti del loro tempo come Anne Finch di Conway o Margaret Cavendish di Newcastle, né si erano liberate dai condizionamenti sociali del loro sesso come la Cristina Trivulzio di Belgiojoso o Eleonora Fonseca Pimentel.
   Perché potesse esprimersi il sentimento dell’amicizia fra un uomo e una donna fu necessario cancellare i tradizionali connotati impossibilitanti del genere femminile e il concetto di eguaglianza (nella versione etico-antropologica) fosse in grado di assicurare la prossimità, la familiarità, la stima con l’altro sesso, tutelando il concetto di differenza. Per inciso: è nel clima del rispetto e del riconoscimento dell’altro che si può trascendere il proprio “particolare”, che l’estraneità si cancella, che le armi si depongono, che i due generi possono avvicinarsi[6]
   A ragione Remo Cantoni precisava che l’amicizia presuppone precisamente «un incontro e un dialogo fra entità diverse. Se gli amici fossero identici, se non ci fosse diversità nei sentimenti, nei gusti, nei pensieri, nelle valutazioni, nel comportamento, l’amicizia vivrebbe nella monotonia e nella ripetizione. L’accordo fra amici è invece paragonabile a un’armonia musicale che raccorda entità sonore diverse. Il significato spirituale dell’amicizia è in una dialettica di motivi individuali che, invece di contrastare disarmonicamente, si legano costruttivamente in un superiore contrappunto. […] I buoni amici possono e debbono discutere animatamente, possono avere idee divergenti, ma il reciproco rispetto e amore li salva sempre dal litigio volgare. Nel clima di civiltà dell’amicizia le idee divergenti diventano complementari e nessuno ha mai radicalmente torto o radicalmente ragione»[7]. Dunque, l’amicizia in quanto rapporto etico, poggia su un contratto tacito fra persone sensibili e virtuose, come segnalava Voltaire nel Dictionnaire philosophique allorché asseriva che «i malvagi hanno complici, i voluttuosi compagne di débauche, gli interessati soci, i politici compagni di fazione, gli oziosi relazioni, i principi cortigiani, amici è possibile averli solo in un piano di moralità»[8]. Pertanto, è decisamente improprio, soprattutto ai giorni nostri, rendere porosa la nozione di questo sentimento e scambiare per tale ciò che amicizia non è: inscrivendo, per esempio, nel suo perimetro i rapporti veicolati dai media interattivi o quelli pseudo-sentimentali che allacciano ambiguamente e volubilmente in un’unica relazione aspetti dell’amicizia e intimità fisica[9]
   Tuttavia, pur nella realtà degli attuali scenari sociali mutevoli, fluidi, discontinui (o forse proprio in loro ragione), si vanno precisandosi alcuni tracciati per accedere a questo sentimento nella sua versione di sentimento solidale e affettuoso che comunque tiene separati l’io e il tu [10]: il modello femminile non si appoggia più alle zone d’ombra dell’esistenza, quello maschile sta rivisitando i contenuti della socializzazione a senso unico in cui è stato inscritto. Dunque, le premesse per entrare ciascuno nel territorio dell’altro, per incontrarsi nella dimensione della trasparenza dei rapporti, per investire nel sentimento adulto e disinteressato dell’amicizia, parrebbero essere state poste, quantunque inscritte in un cammino non privo di inciampi. Gestire con equilibrio la dualità originaria dell’uomo e della donna senza scivolare nella trappola della chiusura egocentrica o dell’egualitarismo a tutti i costi è, infatti, operazione minacciata da opposte tendenze: dall’amore di sé, dalla cultura individualistica che produce autosufficienza e solitudine[11], dalla desuetudine allo scambio dialogico e, per contrappunto, dallo spirito di gruppo corale e gelatinoso tanto immerso nella placenta sociale quanto lontano dall’impegno nella scoperta dell’Altro.
   Tuttavia, nulla vieta che il nuovo assetto generato dalla rilettura dei ruoli femminili e maschili possa allacciare gli uomini e le donne nel rapporto netto, trasparente, spalla a spalla dell’amicizia. Del resto, con la passione in via di estinzione e l’etica analgesica sempre più diffusa, è verosimile che il bisogno di fiducia, d’intesa, d’incontro possa alimentare questo sentimento che (come già detto) non contempla logiche oppositive; né l’egualitarismo che annega la diversità nell’unità; né il narcisismo ipertrofico che culla in una tiepida solitudine. 


[1] M. T. Cicerone, Laelius de Amicitia, XIX, 67

[2]In particolare, gli amici della civiltà classica sembravano «blocchi di metallo, usciti dalla medesima colata, anime gemelle votate al medesimo culto dell’ideale». Cfr. R. Cantoni, La vita quotidiana, Mondadori, Milano, 1955, p. 24

[3] Esemplare, al proposito, è l’epistolario di James Bosswell. Cfr. F.A. Pottle, Pride and Negligence: the History of James Bosswell papers, New-York-Toronto, London, 1982

[4] C.S. Lewis, I quattro amori, Jaca Book, Milano, 1992, p.70

[5] E.Gianini Belotti, Amore e pregiudizio, Mondadori, Milano, 1888,0.204

[6] E. Batinder, L’uno è l’altra, Euroclub, Milano, 1987, p.190

[7] R. Cantoni, op.cit., p. 25

[8] Ibidem

[9] R. D’Amico, Le amicizie erotiche, Franco Angeli, Milano, 2015

[10] Si vuol dire che anche tra amici «non si deve perdere il rispetto, la discrezione e il pudore. L’intimità totale e irriguardosa è spesso una forma di violenza e di usurpazione. Se si vuol veramente bene ad un amico non bisogna mai violare la sua intimità, né ammetterlo sgarbatamente nella nostra. Proprio perché è un vincolo morale, l’amicizia ha bisogno di riguardi e di cautele». R. Cantoni, op. cit., p.26

[11] F. Ferrarotti, Cinque scenari per il Duemila, Laterza, Bari, 1985, p.160

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