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NEOFILIA E DINTORNI

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eideCancellare la tradizione e immergersi acriticamente nel flusso accelerato delle continue novità non ci fa vivere in sintonia con i tempi. La lezione di Remo Cantoni per la ricerca di un equilibrio tra stabilità e mutamento.


di EIDE SPEDICATO IENGO

 

Fra gli equivoci più ricorrenti e frequenti della nostra contemporaneità, precisava Remo Cantoni, figura quello di associare l’antico al disvalore senza tenere in alcun conto che ciò «che chiamiamo “tradizione” in senso biologico, sociale o culturale non è solo il cestino dei rifiuti o la fogna degli scarichi ma un’eredità molto complessa»1 che non può essere cancellata con disinvoltura. Konrad Lorenz due anni prima, nel suo Gli otto peccati capitali della nostra civiltà, metteva in guardia sulla convinzione diffusa che tutto ciò che è nuovo sia attraente e da condividere e tutto ciò che è tramandato sia inutile e da eliminare.
   Non erano suggestioni iconoclastiche sul ruolo della modernità quelle che sostenevano le valutazioni dell’etologo austriaco e del raffinato filosofo italiano. Erano, al contrario, l’invito a diffidare dei fondamentalismi di qualsivoglia segno essi siano, attraverso la precisazione che il mutamento -e dunque il novum indispensabile fattore nel gioco della vita e funzione ineliminabile, necessaria e stimolante nell’economia dell’esistenza psichica e culturale- non equivale ad eleggere la novità a valore primario e assoluto dell’esistenza. L’infatuazione per la novità in quanto tale (anche se irragionevole e inopportuna) poggia, infatti, su coscienze puerili, insipienti, incapaci di selezionare e misurarsi con le molteplici espressioni e direzioni del cambiamento.
  
La logica del “sempre diverso” può, infatti, trasformarsi in un rullo compressore che schiaccia, spiana, appiattisce, cancella soprattutto le informazioni che sono alla base dell’accumulazione della conoscenza. E qui, per conoscenza, è da intendere anche il senso estetico, storico, morale, nonché il rapporto con l’ambiente. Per inciso: ai fini del programma filogenetico sbarazzarsi dell’eredità culturale sedimentata, regolatrice di omeostasi, può inscrivere la realtà umana nello spazio dell’evoluzione demolitrice, ossia nel processo tipico della vita parassitaria che conduce progressivamente il parassita ad una perdita di informazione descrittiva del mondo esterno e alla sua totale domesticazione da parte del soggetto-ospite2. Fuor di metafora: perdere le informazioni tramandate nel corso dell’evoluzione culturale significa mettere fuori squadra il processo cognitivo dell’adattamento che poggia sull’equilibrio dei principi di stabilità e di mutamento. Se a questo quadro si aggiunge, poi, che ciascuno tende a considerare reale solo ciò che lo riguarda da vicino e ciò che apprende dalla sua costruzione della realtà, ne discendono non pochi nodi critici per il futuro dell’umanità e poche ragioni per essere ottimisti.
  
Tra l’altro: l’immersione dell’uomo in una pioggia di segnali costantemente nuovi non si limita a modificare il suo modo di pensare e contemplare il mondo, ne strattona anche la struttura biologica e psichica che non è infinitamente elastica. Ogni norma di adattamento esige,infatti, un prezzo: il logorio del corpo per esempio; il cedimento del rendimento; l’ottundimento del senso estetico; la riduzione del perimetro delle emozioni, del tempo riflessivo, dello spazio esplorativo. Insomma, l’eccesso, la rapidità di informazioni e il sovraccarico di innovazioni possono intrappolare nel caos di esperienze ingestibili e produrre nella dimensione interattiva focolai di nichilismo che interrompono il legame fra gli uomini e le cose.
  
La filosofia della sostituzione sempre più accelerata mette, quindi, «a dura prova le possibilità di assimilazione e di selezione della mente umana. Vivere in sintonia coi tempi esige [invece] una continua attenzione, una costante tensione, una capacità ininterrotta di trasformare e rinnovare idee e atteggiamenti. [...] La mancanza di agilità e plasticità mentale fu, in ogni epoca, un inconveniente grave che impediva all’uomo la percezione della realtà e il controllo dell’ambiente. Ma la mente agile e plastica è quella capace di intendere e valutare con lucidità, di operare critiche e confronti, di selezionare, non quella, intimamente labile e frivola, che sta sempre a rimorchio di tutte le novità, passivamente disponibile per tutte le avventure, per tutte le mode, per tutti gli ondeggiamenti o le involuzioni di una irrequieta opinione pubblica»3.
  
Di pensiero critico avrebbero, quindi, bisogno in particolare questi nostri tempi che, attraversati da onde di cambiamento sempre più brevi e dalla forza d’urto senza precedenti, legami discontinui e disimpegnati, strappi nella dimensione della produzione e ri-produzione sociali, sono palcoscenico vuoi di connessioni fluttuanti e di soggetti anestetizzati e devoti della santa Innovazione4, vuoi di gruppi misoneisti che si chiudono nel passato e, in zone protette, cercano una pace separata dal cambiamento. I primi vivono nel mito dell’avvenire cangiante e positivo, i secondi in spazi filistei, paurosi del nuovo.
  
L’unico modo per ovviare a tale situazione poggia (dovrebbe poggiare) sulla consapevolezza che ciascuno di noi è nel mondo in qualità sia di erede del proprio passato (del quale, beninteso, va discriminato ciò che è vivo e ciò che è morto e, quindi, ciò che va conservato e ciò che va lasciato andare perché privo di significato), sia di soggetto che esamina, valuta, medita, sceglie con responsabilità. I fanatici e gli insipienti di qualunque segno essi siano dimenticano che « le vere rivoluzioni conservano e che le vere tradizioni sono quelle capaci di perenne rinnovamento. In altre parole rinnovare o conservare non si può che nel tempo, nella condizione umana sospesa tra il passato e l’avvenire e non proiettabile mai né in un astratto passato né in un astratto futuro»5.

1 R. Cantoni, Antropologia quotidiana, Rizzoli, Milano, 1975, p.233

2 Idem, Il declino dell’uomo, Mondadori, Milano, 1984, pp.43-46

3 R.Cantoni, Illusione e pregiudizio, Il Saggiatore, Milano, 1967, p.296

4 F.Cassano, Modernizzare stanca, il Mulino, Bologna, 2001, p.155

5 R. Cantoni, La vita quotidiana, Mondadori, Milano, 1955, p.437

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