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FAVOLOSA INDIA/3

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RITASi conclude il viaggio in Rajasthan, nel consueto contrasto di miseria e opulenza. Conosciamo Jaipur, la “città rosa” e Udaipur, la “città bianca”. Tra intensa spiritualità e vita quotidiana fino alla sesta meraviglia del mondo.

 

Prosegue, e volge ormai a conclusione, il mio viaggio indiano nello stato del Rajasthan con la visita ad altre città “colorate”. Dopo l’incontro con la “città d’oro” e quella “blu” – cui ho accennato nella precedente parte del mio racconto – giunge quello con la “città rosa”, ovvero Jaipur. Questa si avvale di FIRMA BARTOLUCCItale espressione per il colore delle case e delle monumentali e principesche dimore che vi hanno sede, tra cui spicca quella di Hawa Mahal, residenza delle mogli del maharajah.
HAWA MAHAL 1L’imponente costruzione in arenaria rosata – edificata a fine 1700 – s’impone alla vista per la straordinaria fattura simile a canne d’organo, realizzata nell’intento di riprodurre la forma della corona di Krishna, divinità Indù. Ѐ munita di una miriade di artistiche aperture protette da griglie e reticoli che servivano a far circolare l’aria all’interno modulandola in suoni melodiosi, tali da giustificare il nome di Palazzo dei venti. Dagli stretti pertugi alle donne era concesso vedere la vita esterna senza essere viste.
Come i precedenti centri urbani, anch’esso ha la sua fortezza collocata in alto.
La salita all’Amber fort è la sorpresa strabiliante che incoglie ogni turista; viene infatti effettuata a dorso di elefante!  
Se ci si lascia un po’ andare, cosa non semplice considerati gli inesistenti sistemi di sicurezza e il precario posizionamento in groppa, dall’altura dell’animale si può godere di una vista possente che spazia oltre le merlature della grande muraglia – in tanto simile a quella cinese – per abbracciare alti colli immersi in un’azzurrità celeste, solcata da rapaci di ampia apertura alare, mentre nel basso si snoda un rivolo d’acqua. Peccato non averne potuto godere appieno per via del particolare mezzo di locomozione che, sfruttato alla stregua di tanti esseri umani, poteva manifestare il malcontento, dovuto al continuo andare su e giù in ore calde, scaricando il “peso” e calpestandolo con l’augusta mole. Congettura non infondata e già verificatasi.
City PalaceSuperata la prova del grande erbivoro e ritoccata terra, il viaggio è proseguito alla volta di Udaipur o “città bianca”, cosiddetta per il marmo usato nei suoi fastosi palazzi reali, ma anche denominata la “Venezia d’Oriente”, poiché sorge su diversi laghi artificiali, di cui il Pichola è il più grande.
Se si è desiderosi di ambienti romantici e fiabeschi, qui ogni aspettativa viene esaudita. Il City Palace, che si affaccia direttamente sul lago, è un complesso formato da undici palazzi da Mille e una notte, con giardini, cortili, mosaici colorati nei motivi regali del pavone. Lungo le sue sponde, nelle tante uscite che conducono alle rive, è comunque osservabile una vita quotidiana meno spettacolare e più autentica. Donne che lavano i panni, bambini che si tuffano giocosi, devoti che si purificano nella sacralità dell’acqua. Il tutto, come spesso in India avviene, in un contrasto di gran miseria e opulenza.
Terminate le soste presso le splendide città “colorate”, è giunta la volta della fermata a Pushkar: un piccolo, speciale centro che sorge ai margini del deserto. Di fondamentale importanza religiosa, come pure commerciale, poiché accoglie uno dei rari templi dedicati a Brahama e, tra ottobre e novembre di ogni anno, la più grande fiera di cammelli al mondo. Solitamente non viene incluso nei più praticati percorsi turistici. Ѐ stata una fortuna che lo fosse in quello da me scelto, poiché vi si respira un’aria di intensa spiritualità, enfatizzata dal fascino del deserto che, soprattutto di notte, risuona dei canti vedici e del belato delle greggi. Il nucleo urbano si sviluppa lungo le rive di un laghetto ritenuto sacro, nelle cui acque i pellegrini compiono i riti di purificazione e bruciano i cadaveri. Come avviene nella più conosciuta città santa di Varanasi, ma con maggior raccoglimento, dovuto TAY MAHALa una affluenza più ristretta di devoti. Nei locali del paese è vietato consumare carne, alcol e uova; l’alimentazione è strettamente vegetariana, eppure tanto varia e gustosa da rimanere impressa quale esempio nutrizionale alternativo.
Agra è stata l’ultima tappa del mio viaggio. Non si trovano facilmente parole adeguate a descriverla nei suoi principali monumenti. Basti dire che viene giudicata come la sesta meraviglia al mondo. La testimonianza che, più d’altre, l’ha resa famosa è il mausoleo del Taj Mahal, fatto costruire dal sovrano Moghul Shah Jahan nel 1631 in onore e ricordo della moglie. Ѐ questo un grandioso edificio in marmo bianchissimo di Makrana, con intarsi policromi di pietre semipreziose come il turchese, il lapislazzuli, la corniola, l’onice, adatte a creare motivi floreali. L’imponenza non va a discapito dell’armonia. Le forme, infatti, si sviluppano in modo proporzionale, simmetrico, sì da dar vita a una composizione di grande equilibrio. Ѐ inserito in un verde contesto di giardini e fontane, che ne esaltano ancor più la bellezza. La sua notorietà travalica comunque i pregi architettonici e va ricondotta al simbolo di cui è l’espressione: l’amore eterno e imperituro.
FORTE ROSSOSempre in questa città, un altro luogo di grande interesse è costituito dal Forte rosso, una struttura imponente e massiccia, di grande impatto visivo. Dotata di una estesa cinta muraria, racchiude la cittadella con diversi splendidi palazzi. Trovo superfluo attardarmi in una sua dettagliata descrizione, che susciterebbe un ennesimo ripetersi di elogi e di stucchevoli aggettivi. Desidero spendere invece qualche parola sulle tante attività di artigianato, numerosamente presenti, qui, come negli altri centri. Prima fra tutte, quella degli intarsiatori di marmo. Splendidi artisti, capaci di plasmare in forme ariose una materia dura, per renderla viva e palpitante. Non da meno si mostrano gli orafi, con le loro preziose creazioni o i ceramisti. E si potrebbe proseguire a lungo nella lista. Una condizione che accomuna tutte queste categorie di lavoranti è, purtroppo, la miseria. Gli addetti, raramente proprietari delle imprese, recano sul corpo, smagrito e precocemente invecchiato, i segni della fatica mal ripagata. Dai loro occhi trapela la delusione per tanta abilità sprecata, unitamente alla gratitudine per l’elogio e l’attenzione dimostrati da qualche sporadico turista, interessato più alla bellezza in sé delle creazioni che al “teatro” dell’acquisto.
A conclusione di questo lungo viaggio, in una piccola porzione d’India, posso affermare che i ricordi più indelebili fanno rimando alle tante persone, osservate in plurimi contesti. Torna il pensiero ai loro modi di affidarsi alla vita. Alla gestualità gentile di mani giunte – in segno di saluto e di rispetto per l’universo intero, di cui ogni essere è parte – che non va scambiata per indice di melliflua o conveniente sottomissione. Vitali pure restano le discordanze, le contraddizioni che da quella realtà affiorano, insieme all’ampio campo di possibilità che essa lascia intravvedere. Tutto in India è possibile! Soprattutto ciò che, altrove, risulterebbe strano. Fasto e miseria, avanguardia e arretratezza, tradizione e innovazione: sono questi i cardini su cui il vasto stato si muove con le sue enormi masse giovanili, fonte di speranza per un prospero futuro.

 3fine

Le foto (dall'alto in basso):
Hawa Mahal, Chainwit, commons wikimedia.org (CC BY SA 4.O)
City Palace, , Dennis Jarvis, commons wikimedia.org (CC BY SA 4.O)
Tay Mahalflickr.com (CC BY ND 2.O)
Hawa Mahal, Sanyam Bahga, commons wikimedia.org (CC BY SA 3.O)  

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